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La guerra in Libano, l?assemblea Onu, il quorum-firme per la cittadinanza, l?allarme pensioni, Milano senza Champions #finsubito prestito immediato

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«Il popolo del Libano, il popolo di Israele e il popolo del mondo non possono permettersi che il Libano diventi un’altra Gaza» (António Guterres, segretario generale Onu)

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«Non possiamo concedere alcuna pausa al nemico, l’offensiva continuerà a intensificarsi» (Herzi Halevi, capo di stato maggiore di Israele)

I morti a centinaia, i raid aerei continui e le code interminabili di chi fugge dal sud del Libano (ma ormai anche dal Paese), raccontati dall’inviata del Corriere Marta Serafini, mostrano quanto «l’altra Gaza» sia un incubo che, di ora in ora, diventa sempre più realtà. «Vengo da un villaggio del Sud. E sono furiosa con Hezbollah, non dovevano nascondere le armi vicino alle nostre case. Noi non lo sapevamo. Odio Israele ma non voglio dover pagare con la mia vita per Gaza, cosa c’entriamo noi?», le racconta una donna fuggita a Beirut con la famiglia. «Trovare un volo ora è praticamente impossibile, che sia per l’Europa o che sia per Dubai o per il Medio Oriente stanno scappando tutti — aggiunge l’impiegata di un’agenzia di viaggi della capitale libanese —. Potessi andarmene pure io da questo Paese di matti, sarei felice». E dall’ospedale dell’Università americana arriva un altro allarme: «Continuiamo a essere a corto di sangue per le trasfusioni».

I libanesi uccisi in due giorni di raid sono quasi 600 (ma il bilancio di sangue potrebbe essere salito ancora quando leggerete queste righe). Tra loro — oltre a Ibrahim Qubaisi, capo delle operazioni missilistiche di Hezbollah — anche due impiegati dell’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr). «Gli attacchi aerei stanno ormai mietendo centinaia di vittime civili», commenta Filippo Grandi, alla guida dell’agenzia Onu. La milizia filo-iraniana libanese ha risposto lanciando almeno 300 tra razzi e missili verso il nord di Israele, già abbandonato da decine di migliaia di persone.

E sarà anche vero che, secondo la maggioranza degli analisti, i generali israeliani non stanno per ora spingendo verso un’invasione via terra, come conferma l’ambasciatore israeliano all’Onu Danny Danon Non abbiamo alcun desiderio di occupare territori e preferiamo una soluzione diplomatica», ovvero che Nasrallah accetti di scollegare lo scontro dal cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, dove i raid vanno avanti). Ma, come ha scritto Gianluca Mercuri nella nostra Rassegna, «L’offensiva contro Hezbollah piace agli israeliani e fa recuperare a Netanyahu i consensi persi con la mancata “vittoria totale” a Gaza, dove Hamas non è annientata del tutto e decine di ostaggi restano prigionieri. E l’attacco a Nord consente al premier di recuperare sintonia anche con il suo establishment. Il ministro della Difesa Yoav Gallant e i vertici militari premono da tempo per una tregua a Gaza, ma adesso sono tutti d’accordo sullo spostamento dell’obiettivo verso Hezbollah».

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Il rischio è che i successi a ripetizione contro Hezbollah e il suo leader, Hassan Nasrallah, spingano Israele e il suo premier, Netanyahu, all’«autocompiacimento che può portare all’euforia» di cui ha scritto Amos Harel su Haaretz. «L’euforia ha sempre tradito Israele, e non ha smesso di tradirla — commenta Gianluca —. La sensazione di onnipotenza assimilata dopo la straordinaria vittoria nella Guerra dei Sei giorni non è venuta meno nemmeno dopo lo spavento della Guerra del Kippur, sei anni dopo. Lo choc del 7 ottobre ha certamente traumatizzato gli israeliani, ma il controllo su tutta la terra dal fiume al mare stabilito nel 1967 continua a essere tossico per l’anima del Paese. Soprattutto ora che al governo c’è la parte più estremista, che non nasconde di volerla tutta e per sempre, la terra».

«Una guerra su larga scala in Libano non conviene a nessuno» — ha detto, a margine dell’Assemblea generale dell’Onu, anche la premier italiana Giorgia Meloni, aggiungendo la preoccupazione «per i nostri soldati in Libano» (quelli della missione Unifil, ndr). Il guaio è che c’è chi è convinto che l’escalation, almeno per il momento, invece convenga. «Non abbiamo mai attaccato così tanti obiettivi in un periodo di tempo così breve», ha spiegato un ufficiale dell’aviazione israeliana al sito del quotidiano Yedioth Ahronoth.

L’Assemblea generale dell’Onu

Nel suo ultimo discorso da presidente all’Assemblea generale, Joe Biden puntava a riaffermare la forza delle alleanze e i risultati ottenuti nel mondo grazie alla leadership degli Stati Uniti. «Ma la verità — scrive la corrispondente Viviana Mazza — è che questo è un momento di grande incertezza sul ruolo futuro dell’America e fonti vicine al presidente ammettono che lui stesso comincia a riconoscere che sta finendo il tempo per ottenere il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi israeliani a Gaza, mentre il conflitto si è allargato al Libano».

imageJoe Biden all’Assemblea generale dell’Onu (foto Getty Images/Afp)

Molti leader, a partire dal segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, hanno sottolineato che Gaza è «un incubo infinito che rischia di trascinare con sé l’intera regione», mentre della guerra in Ucraina non si vede la fine e ci sono molte altre crisi dal Sudan a Haiti. L’alto commissario per la politica estera della Ue Josep Borrell ha detto ai giornalisti che in Libano è ormai «quasi guerra totale». Il re di Giordania Abdullah non ricorda «un periodo con maggiori rischi». Il brasiliano Lula accusa Israele: «Il diritto all’autodifesa si è trasformato in diritto alla vendetta». Il turco Erdogan ha denunciato «i Paesi che discutono di cessate il fuoco ma continuano ad armare Netanyahu e il suo network omicida». E il presidente iraniano Pezeshkian: «Non vogliamo combattere», ma Israele «vuole trascinarci in un conflitto». Poi l’aggiunga sibillina: «Hezbollah non può essere lasciato solo».

Biden — il cui entourage esclude incontri con Netanyahu a margine dell’Assemblea — ha provato a non spegnere la speranza, rievocando crisi del passato (la Guerra Fredda, il Vietnam) per spiegare che anche i conflitti attuali, i rischi dell’Intelligenza artificiale e i cambiamenti climatici non sono senza soluzione. E ha messo in guardia dalla tentazione di «ritirarsi dal mondo», un riferimento all’isolazionismo di Trump. Quanto al conflitto in Ucraina, altro tema al centro dell’Assemblea, ha detto che «la guerra di Putin è fallita» e ha promesso: «Noi non cesseremo di sostenere Kiev». Ma su Biden, che vedrà Volodymyr Zelensky domani a Washington, incombe una decisione difficile sull’autorizzazione all’Ucraina a usare i missili americani a lungo raggio in territorio russo.

Il presidente ucraino, intervenendo al Consiglio di sicurezza, ha detto che molti Paesi vogliono «parlare con Putin», ma «non è con i discorsi, è solo con l’azione che si può porre fine alla guerra» perché la Russia «può solo essere costretta alla pace» e il «diritto all’autodifesa di Kiev deve prevalere». Ma, parlando a Abc News, ha detto: «Penso che la pace possa essere più vicina di quanto si creda». In un’intervista con il New Yorker, Zelensky ha definito «troppo radicale» il vice di Trump, JD Vance, che è contrario a nuovi aiuti all’Ucraina e scettico sul suo ingresso nella Nato, ma ha definito «molto positivi» i colloqui avuti con lo stesso Trump.

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La posizione dell’Italia

All’Assemblea Onu ha partecipato anche, come si diceva, la premier Giorgia Meloni. Che, incalzata dai giornalisti, ha negato che la linea italiana di sostegno all’Ucraina stia gradualmente cambiando. «Ovviamente no. Capisco che si cerchi di sostenere una tesi anche contro l’evidenza. (…) Non cerchiamo di raccontare un’altra storia, l’Italia è considerata seria e affidabile e non cambia posizione come cambia il vento. È un elemento di cui tutti dovrebbero andare fieri».

Massimo Franco, nella sua Nota, però osserva: «Ormai il problema non è solo di aiutare il governo di Kiev, ma di come rendere efficace l’appoggio dal punto di vista militare. Su questo l’Italia sembra avere cambiato il suo approccio: se non altro perché molti dei grandi Paesi europei hanno compiuto invece passi avanti, offrendo le loro armi a supporto degli ucraini anche quando colpiscono le basi in Russia da cui partono i bombardamenti. È un piccolo ma significativo aggiustamento, che a Washington e a Kiev hanno registrato. E forse non contribuirà a accreditare “quella postura e rispettabilità a livello globale” esaltata dal capo dei deputati di FdI, Tommaso Foti». Peraltro, Franco fa notare che «il raffreddamento dell’entusiasmo verso l’Ucraina non riguarda solo il governo. All’interno della maggioranza si erge da sempre l’ostacolo della Lega di Matteo Salvini, incline a invocare una pace considerata a solo vantaggio del Cremlino: il prossimo raduno a Pontida con i capi dell’estrema destra europea lo confermerà. Ma anche nelle opposizioni si registra un graduale arretramento sull’Ucraina».

Per tornare alla trasferta americana di Meloni, la premier ha attaccato chi ha letto la decisione di farsi premiare da Elon Musk — grande sostenitore di Trump — come la volontà di scommettere platealmente sulla vittoria The Donald (con il quale non ha avuto incontri o contatti): «Respingo il tentativo di schierare l’Italia nella campagna elettorale degli Stati Uniti. Elon Musk è una delle persone più interessanti di questa epoca».

Le firme per la cittadinanza

Grazie a un’accelerazione dalle proporzioni inattese, a metà pomeriggio di ieri la raccolta digitale delle firme ha superato il mezzo milione. Il referendum per la cittadinanza tenuto a battesimo da +Europa ora dovrà passare il vaglio di ammissibilità della Corte costituzionale. Se ottenesse il via libera, la prossima primavera gli italiani saranno chiamati alle urne su un quesito abrogativo che si propone di dimezzare il termine di 10 anni per ottenere la cittadinanza italiana.

Riccardo Magi, segretario di +Europa, esulta: «Il 4 settembre, quando abbiamo depositato il quesito, in pochissimi credevano che fosse possibile una mobilitazione del genere su un tema difficile, divisivo» che «questo governo, e molti altri prima, hanno utilizzato in maniera ideologica, avvelenando il dibattito pubblico». Insomma, i cittadini «dimostrano di non essere rassegnati al modo ideologico con cui questo governo tratta temi centrali per il futuro del Paese».

In serata, da New York, la premier Giorgia Meloni ha però un po’ gelato gli entusiasmi: «Ritengo che 10 anni siano un tempo congruo per la cittadinanza e che l’Italia abbia una ottima legge, non vedo quindi la necessità di cambiarla. Se poi c’è il referendum, è democrazia, decidono gli italiani». (Su valore ed efficacia dei referendum potete leggere quel che ha scritto Alessandro Trocino nella nostra Rassegna)

L’allarme Inps sulle pensioni

Nel Rapporto Inps 2024, presentato ieri, affiorano preoccupazioni sulla sostenibilità del sistema previdenziale italiano nel medio-lungo periodo, dopo quelle già espresse dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. «La tenuta dei conti è assolutamente in equilibrio nel breve-medio periodo», ha detto il presidente dell’Istituto, Gabriele Fava, aggiungendo però che una riflessione va fatta su orizzonti più lontani e «spetta al legislatore».

«Il punto — scrive Enrico Marro — è che le riforme fatte, dalla Dini del 1995 alla Fornero del 2011, non sembrano assicurare più definitivamente l’equilibrio dei conti, nonostante il passaggio al regime contributivo (pensione commisurata ai versamenti). Colpa, come già sottolineato dallo stesso Giorgetti, del trend demografico molto negativo, che fa peggiorare il rapporto tra il numero di lavoratori (circa 23 milioni) e di pensionati (circa 16 milioni) e che, dice l’Inps, “influenza negativamente la sostenibilità economica di quasi tutti i sistemi previdenziali” in Europa, ma anche delle troppe uscite anticipate (comprese Quota 100-102-103) rispetto all’età pensionabile fissata dalla legge a 67 anni».

Si assiste in particolare al paradosso che, pur avendo l’Italia l’età legale di pensionamento più elevata in Europa, 67 anni appunto, ha un’età media effettiva di pensionamento che nel 2023 è stata di 64,2 anni: un livello comunque superiore alla media dell’Ue (63,6 anni), pari a quello della Germania, ma che, si legge nel rapporto, pesa molto sui conti, al punto che «oltre metà della spesa» è «destinata a pensioni di anzianità o anticipate».

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A preoccupare sono anche i bassi stipendi dei giovani. «Seppur migliorato, il quadro generale dei giovani non è confortante in assoluto e nel confronto con il resto dei Paesi dell’Ue», si legge ancora nel Rapporto Inps. Precarietà, pochi laureati e «le sfide connesse alla creazione di un nuovo nucleo familiare hanno fatto emergere una vera e propria “questione giovanile”» . «Al notevole recupero occupazionale non è corrisposto un incremento dei redditi e delle retribuzioni» tale da compensare l’aumento dei prezzi e questo nonostante i ripetuti interventi di decontribuzione decisi dai governi (taglio del cuneo). Così mentre i dipendenti guadagnano in media quasi 26 mila euro l’anno, gli under 30 si fermano a 14 mila euro l’anno.

Le altre notizie

• Dagli archivi della Direzione nazionale antimafia e da altre banche dati riservate e collegate, il tenente della Guardia di finanza Pasquale Striano avrebbe scaricato oltre 200 mila documenti in tre anni, fra il 2019 e il 2020. Un numero che si aggiunge ai 30 mila del biennio successivo, affiorati fin qui nell’indagine sui presunti dossieraggi avvenuti dietro lo scudo della Dna. Gli «accessi ritenuti non autorizzati e quindi abusivi», precisa il procuratore di Perugia Raffaele Cantone, si moltiplicano quasi per dieci e riguardano anche nomi nuovi rispetto a quelli già emersi: personaggi politici e non, ritenuti «di interesse». «L’assenza di spiegazioni e moventi — scrive Giovanni Bianconi — comporta la necessità di indagare alla ricerca di eventuali “mandanti” che vadano oltre i giornalisti amici, ai quali pure Striano avrebbe girato altri documenti, oltre a quelli già contestati. Di qui, per i pm, l’esigenza degli arresti per salvaguardare l’indagini da possibili inquinamenti».

• Una pioggia mai vista, oltre 200 millimetri nel giro di sei ore. La costa livornese e le colline pisane sono state travolte: strade trasformate in fiumi, vigne diventate risaie, torrenti esondati, case sott’acqua. A Montecatini Val di Cecina, in provincia di Pisa, una famiglia di turisti tedeschi è stata sorpresa dalla piena del torrente Sterza, un’onda di due metri e mezzo di altezza, mentre si trovava in villeggiatura in un podere: in tre sono stati messi in salvo, ma un neonato di 5 mesi e sua nonna — Noah Wagner e Sabine Kingbauer — sono stati trascinati via e risultano dispersi.

• «Questa tragedia si sarebbe potuta evitare». Lo ripetono in continuazione i vicini di casa di Roua Nabi, 34 anni, uccisa lunedì sera a Torino dal marito Abdelkader Ben Alaya, il muratore 48enne che la donna aveva denunciato per maltrattamenti la scorsa estate. A fine giugno la coppia, di origine tunisina, si era separata e Ben Alaya era stato arrestato dalla polizia e poi rimesso in libertà ad agosto. Con il divieto di avvicinarsi alla moglie e l’obbligo del braccialetto elettronico. Che. però, non avrebbe funzionato. Lunedì sera il dispositivo, collegato all’app installata sul cellulare della moglie, avrebbe inviato una segnalazione non codificata alla centrale operativa della Questura, senza però segnalare la sua presenza vicino alla casa di via Cigna 66, dove Roua viveva con i due figli di 13 e 12 anni. Due ore più tardi, nell’appartamento al primo piano, Ben Alaya ha accoltellato la moglie con un fendente al torace sotto gli occhi dei suoi figli.

• «Una catastrofica sequela di errori ed omissioni» avrebbe causato la morte di Andrea Purgatori. È quanto emerge dalle conclusioni della perizia medico-legale nell’ambito dell’indagine che punta a far luce sul decesso del giornalista, avvenuto nella clinica privata Villa Margherita di Roma, il 19 luglio 2023. Nel registro degli indagati sono iscritti, per omicidio colposo il radiologo Gianfranco Gualdi, il suo assistente Claudio Di Biasi e la dottoressa Maria Chiara Colaiacomo, entrambi appartenenti alla sua equipe, e il cardiologo Guido Laudani.

• La crisi dell’auto si aggrava e i lavoratori chiedono risposte. Ieri i sindacati Fim, Fiom e Uilm hanno proclamato uno sciopero di 8 ore del settore, comprese le aziende della componentistica, per venerdì 18 ottobre, con una manifestazione nazionale a Roma. Stellantis, secondo Bloomberg, avrebbe intanto avviato la ricerca per il successore di Carlos Tavares alla guida del gruppo. Il contratto dell’ad scade agli inizi del 2026.

• «La vicenda Commerzbank non riguarda il governo, nell’Unione europea c’è il libero mercato», ha detto ieri la premier Giorgia Meloni. Ma, scrivono Marco Galluzzo e Andrea Rinaldi, «dai vertici dell’esecutivo viene fatto filtrare anche un messaggio ulteriore: “Capiamo lo spiazzamento della Cancelleria, diciamo che se l’operazione fosse amichevole sarebbe meglio per tutti gli attori…”. In sostanza emerge una velata critica, anche nostrana, al modo di muoversi di Unicredit, che ha come principali azionisti fondi americani e inglesi, pur essendo basata in Italia». Intanto ieri Bruxelles ha fatto sapere che eventuali misure a difesa di Commerz «non possono essere giustificate per motivi puramente economici». (Qui l’editoriale di Federico Fubini «Germania (ed Europa) con il mal di banca»)

• Un tira e molla durato anni ora arrivato al capolinea. Pavel Durov, arrestato lo scorso 24 agosto dalle autorità francesi con 12 capi d’imputazione a proprio carico per poi essere rilasciato su cauzione, ha ceduto alle pressioni: i dati degli utenti che sono sospettati di svolgere attività illegali saranno consegnati alle autorità che si appellano alla collaborazione di Telegram.

• Quadri, gioielli, oggetti d’arredo. Un tesoro da 170 milioni di euro che i fratelli Elkann — John, Lapo e Ginevra — si sarebbero spartiti alla morte di donna Marella, classificandoli negli inventari e nei documenti via via redatti come «regali» che la nonna avrebbe donato loro quando era ancora in vita. Uno stratagemma — raccontato nelle cento pagine del decreto di sequestro preventivo per 74,8 milioni — che avrebbe consentito agli eredi di ridurre la «massa ereditaria» e pagare meno tasse.

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La finale di Champions League del 2027 non si giocherà a Milano. Troppe le variabili, troppi i tira e molla che hanno caratterizzato questi ultimi cinque anni. «Ancora oggi — scrive Maurizio Giannattasio — non si è capito su quale progetto puntino realmente Milan e Inter che continuano a lavorare su un doppio binario: non abbandonano l’idea — non si sa quanto realistica — di un nuovo impianto fuori da Milano, ma lasciano aperta la porta alla realizzazione di un Meazza bis accanto alla Scala del calcio rifunzionalizzata». Un clima di incertezza, che ha portato il Comune a non poter garantire l’assenza di lavori per quella data e la Uefa a cancellare e riassegnare l’appuntamento del 2027.

• Sarà Vermiglio di Maura Delpero, Leone d’argento Gran premio della giuria a Venezia 81, a rappresentare l’Italia alla 97ª edizione degli Oscar nella corsa per il miglior film internazionale. Scelto dalla commissione indicata dall’Anica «per la sua capacità di raccontare l’Italia rurale del passato, i cui sentimenti e temi vengono resi universali e attuali». Delpero incassa con «sereno fatalismo», pronta ad affrontare la gara da outsider, facendo tesoro di una lezione ispirata alla montagna. «Mai guardare in su o in giù, sempre avanti, per evitare lo choc dell’abisso».

Alberta Ferretti lascia la direzione creativa del marchio che porta il suo nome e da lei fondato 50 anni fa. In una nota scrive: «Qualcuno penserà che ora mi dedicherò al riposo… Quel qualcuno non mi conosce abbastanza bene. Con entusiasmo continuerò a svolgere le mansioni del mio ruolo di vicepresidente del Gruppo Aeffe, e al contempo mi dedicherò alle mie grandi passioni, tra cui l’arte. A breve vi annuncerò il nome della persona da noi scelta per continuare a scrivere la storia del brand Alberta Ferretti, che in me troverà sempre appoggio e sostegno».

Da leggere e ascoltare

L’articolo di Roberto Saviano su Emma Coronel, moglie del più grande narcotrafficante messicano, Joaquin «El Chapo» Guzmán, che ha sfilato in passerella, in abito da sposa, durante la Milano Fashion Week.

L’inchiesta di Lara Sirignano sui «segreti del Bayesian», gli hard disk e i documenti top secret affondati assieme al veliero di Mike Lynch.

L’intervento di Carlo Rovelli «La triste parabola degli ideali».

L’intervista di Giovanna Cavalli a Katia Ricciarelli che boccia Il Volo («Tenori da parodia») e dice: «Per fare ingelosire Pippo Baudo mi spedivo rose da sola».

Il giudizio di Aldo Grasso sul perché Amadeus non ha sfondato con gli ascolti sul Nove (a differenza di Fazio).

Il corsivo di Paolo Di Stefano «I jeans di Vannacci e lo slogan blasfemo».

Nel podcast «Giorno per giorno», Davide Frattini racconta la seconda giornata di violenti bombardamenti israeliani sul Libano. Federico Fubini spiega perché la Banca centrale della Libia è stata esclusa dalla piattaforma Swift su cui si effettuano tutte le transazioni di denaro. Paolo Ottolina parla della svolta comunicata dal fondatore di Telegram Pavel Durov: i dati degli utenti sospettati di svolgere attività illegali saranno consegnati alle autorità che lo richiedano.

Il Caffè di Gramellini

Io non sono cattivo

Chissà se la lettera che Filippo Turetta ha scritto ai suoi genitori influirà sul processo per l’assassinio di Giulia Cecchettin. Certamente colpisce chiunque nutra interesse per le dinamiche dell’animo umano al cospetto di quell’enorme enigma che è il male. Turetta scrive da un carcere tedesco subito dopo l’arresto, mentre aspetta di essere estradato in Italia. È reduce da una settimana di fuga in compagnia di sé stesso, durante la quale, dice, ha passato il tempo seduto in auto, a puntarsi un coltello alla gola senza mai trovare la forza di affondare il colpo.

I grafologi spiegheranno il senso della sua scrittura sinuosa, dove ogni riga è disallineata rispetto a quella precedente. Riguardo al contenuto, l’assassino si rivela estremamente consapevole delle conseguenze di ciò che ha fatto: l’ergastolo e l’addio a una vita di relazioni. Ma quando attacca a parlare della vittima, lo fa come se Giulia fosse un suo riflesso. Ci racconta quanto fosse meravigliosa e importante: per lui. Si interroga sul perché l’abbia uccisa, e il soggetto è sempre lui, per concludere con un’affermazione che riguarda ancora lui: «Io non sono cattivo». Più che una richiesta di attenuanti — il contesto della lettera è fortemente autopunitivo — questa sua presa di distanza dalla cattiveria ci ricorda come chi fa il male abbia il disperato bisogno di comunicare agli altri che non è il male. Non per sentirsi assolto, ma per non venirne schiantato.

Grazie per aver letto Prima Ora e buon mercoledì

(Questa newsletter è stata chiusa all’1.45)

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