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Mai più bonus, sono soldi buttati dalla finestra, ci vuole serietà. Lo ha detto la presidente del consiglio al Forum Ambrosetti a inizio settembre. Tre settimane dopo, nel decreto omnibus, la maggioranza ha approvato un emendamento che la smentisce. Si chiama «Bonus Natale», come la letterina arriverà sotto l’albero. Doveva arrivare alla befana, sarà anticipato. è una piccola miserabile dimostrazione di cos’è il paternalismo di Stato.
La mancia è finanziata con 100 milioni, consiste in 100 euro una tantum e arriverà con la tredicesima. Gli esclusi sono: 1) le famiglie «incapienti», cioè i più poveri che hanno un reddito così basso da non presentare denuncia dei redditi ; 2) i lavoratori non dipendenti (i lavoratori autonomi non imprenditoriali sono più poveri; 3) le famiglie di fatto non sposate; 4) i single con figli; 5) le famiglie di lavoratori dipendenti con almeno un figlio a carico e un reddito superiore ai 28 mila euro (per loro dovrebbe esserci infatti l’assegno unico per i figli).
Considerata l’esiguità delle risorse il «bonus» sarà una goccia nel mare. Più importante della sua modesta concezione è l’idea di famiglia, e di società, di cui esso è portatore. I criteri fiscali, infatti, non sono neutrali, né astratti. Restituiscono più di tante parole l’idea di «normalità» della famiglia che il governo Meloni possiede. Concepito per dare una mano ai nuclei con figli opera una distinzione tra figli di serie A e di serie B. Del tutto incolpevoli sono questi bambini sui quali però è scaricata la condizione sociale dei propri genitori. In un Welfare a brandelli come quello italiano si finisce così per risparmiare sulle famiglie che non rientrano nel vincolo del matrimonio eterosessuale e su quelle che non rientrano tra quelle del ceto medio impoverito. Il bonus natale è una tassa sul celibato all’incontrario. In maniera rovesciata richiama quella istituita nel 1926 dal fascismo. Esito tragicomico che spiega il senso dell’«egemonia culturale» perseguita dalla destra
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