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MONDO RUSSO La produzione russa come risposta all’Occidente #finsubito prestito immediato

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Gli economisti russi insistono sulla prevalenza della “località”: una strategia di marketing comune a tutti i sovranismi, ma che in Russia funziona in modo molto limitato, essendo un Paese non proprio avvantaggiato nelle capacità produttive agricole e industriali. E che – dalla gastronomia a tanti aspetti dello sviluppo sociale – nella sua storia ha sempre assunto elementi dall’estero.

La svolta epocale iniziata con l’invasione dell’Ucraina costringe la Russia a rivedere vari aspetti della sua stessa organizzazione sociale, a cominciare dalle difficoltà dell’economia bellica e della rottura delle relazioni commerciali con l’Occidente, con le gravi carenze demografiche e lavorative, dovendo sacrificare le nuove generazioni al fronte e subendo la fuga di tantissime persone all’estero, per sottrarsi alla tragedia della guerra. Al di là delle questioni di bilancio e finanziamento dei principali ambiti economici, esiste una problematica ancora più ampia e difficile da definire, che riguarda la produzione russa degli elementi più distintivi della vita della popolazione.

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Da anni ormai, ben prima della stessa “operazione speciale militare”, si parla del Runet, la variante russa di internet che non riesce mai ad affermarsi, e con gli aspetti informatici del conflitto questa esigenza diventa sempre più specifica e impellente. Si cerca di imporre servizi patriottici al posto di YouTube, una Ruwiki che sostituisca Wikipedia, per la quale è stata chiusa la stessa Grande Enciclopedia Russa, a cui mancano i fondi per la pubblicazione, e ci sono centinaia di altri progetti che devono diventare la “risposta russa all’Occidente”. L’identità nazionale dipende certo da tanti fattori, a partire dai generi di prima necessità come gli alimentari e i servizi abitativi (sono sempre più frequenti le code davanti agli ascensori dei palazzi da venti piani e oltre, a cui mancano i pezzi di ricambio), ma nella società odierna sembrano contare ancora di più le piattaforme e le applicazioni del mondo virtuale, compresi i video-giochi che riempiono la gran parte del tempo dei giovani, e anche degli adulti.

Non a caso uno degli impegni più intensi degli organismi statali russi, nelle ultime settimane, ha riguardato il sostegno e la diffusione su tutti i mezzi di informazione del gioco patriottico da computer Smuta, “I Torbidi”, lodato da tutti i propagandisti come “la nostra risposta a The Witcher”, la serie tv polacco-statunitense che racconta delle genti civilizzate costrette a convivere con i mostri che li minacciano, e per questo vengono creati dei guerrieri mutanti, gli witcher appunto, in una specie di trasposizione fantastica della realtà bellica, in cui i russi rappresentano i mostri da abbattere. Del resto, per descrivere la guerra attuale si usa molto il paragone con le storie di Tolkien, con Putin-Sauron che scaglia gli orchi di Mordor contro la Terra di Mezzo e la Contea-Ucraina degli uomini, degli elfi e dei nani, mentre la Smuta russa rievoca le sollevazioni popolari russe che cacciarono gli invasori polacchi a inizio Seicento.

Ben più dell’industria e della tecnologia, i russi cercano efficaci simbologie in cui identificarsi, come del resto avviene ormai in tutte le società contemporanee, dipendenti dalle proiezioni virtuali più ancora che dagli elementi della vita reale. L’acquisto delle automobili in Russia è diventato sempre più un lusso per pochi, le macchine di produzione russa sono costose e scadenti, al più si riesce a viaggiare sulle auto cinesi, ma servono i mondi che appaiono sugli schermi delle case e dei telefoni per sentirsi veramente nella propria terra. Una volta la Russia si vantava della superiorità della propria letteratura, della propria lingua dominante in un mondo di popoli diversi, dell’architettura di San Pietroburgo che unisce l’Oriente e l’Occidente e tanto altro che oggi viene messo decisamente in secondo piano, e che rischia di perdere significato a fronte di un “mondo russo” sempre meno reale.

Anche soltanto nelle spese della vita quotidiana i russi affermano la devozione patriottica acquistando i prodotti “nostri” invece di quelli esteri sempre meno reperibili, e nei sondaggi ufficiali si sottolinea l’importanza del “consumo patriottico” che rievoca i tempi sovietici, dove l’unica bevanda occidentale permessa era la Pepsi-Cola, e l’amicizia tra i popoli era evidenziata dalle banane provenienti da Cuba. Questa tendenza non si limita agli articoli in vendita, ma si estende soprattutto alla cultura nella sua accezione contemporanea, le produzioni cinematografiche, le serie tv, la musica, oltre ovviamente ai video-giochi. Non è più il tempo di Tolstoj e Čajkovskij, ma degli inni patriottici di Šaman e delle fantasie digitali.

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È la seconda “rivoluzione culturale” nel giro dell’ultimo trentennio; dopo la rinuncia all’“epoca d’oro sovietica”, oggi ai russi tocca fare a meno di tutta la produzione e la cultura occidentale che ha “invaso” la Russia a partire dagli anni Novanta, creando nuove abitudini e sentimenti contraddittori. Le generazioni più mature e anziane tornano alla nostalgia per i film degli anni brezneviani e ai brindisi con il sovetskoe šampanskoe, lo champagne gasatissimo da accompagnare con la vodka patriottica, e si guarda con sospetto alle “sostituzioni” russe recenti di prodotti e servizi, perché ormai “si è persa l’arte di un tempo”.

Gli economisti russi insistono sulla prevalenza della “località”, un altro tema molto comune ai sovranismi di tutto il mondo, che vogliono esaltare la “produzione locale”, una strategia di marketing che in Russia funziona in modo molto limitato, essendo un Paese non proprio avvantaggiato nelle capacità produttive agricole e industriali. Il problema della Russia risale a tempi più antichi, quando anche nelle produzioni più diffuse della gastronomia e di tanti aspetti dello sviluppo sociale ha sempre assunto elementi dall’estero. La cosiddetta “insalata russa” è un rifacimento di una ricetta francese, che infatti in Russia si chiama Olivier; la minestra di cavoli e carne, il Boršč, viene dal mondo polacco-ucraino, e la stessa vodka fu introdotta da Pietro il Grande dalle zone baltiche, come una bevanda meno pesante dei distillati russi di produzione contadina (il Samogon); vodka che infatti fu chiamata “acquetta” da voda, il liquido trasparente di “soli” 40 gradi rispetto ai 60-80 degli abituali superalcolici russi al miele o limone. Del resto, anche il vino rosso dolciastro della liturgia eucaristica russa, il Kagor, è una derivazione del Cahors francese.

La Russia è abituata a vivere delle produzioni straniere: il vino francese, le macchine tedesche, l’elettronica giapponese, solo le armi dovrebbero essere prevalentemente russe, ma anch’esse oggi sono in gran parte anche iraniane o nordcoreane. Oggi si torna ad importare il vino georgiano e il cognac armeno, anche se essendo l’Armenia oggi assai poco “amichevole” con Mosca, le sue partite di brandy Ararat sono spesso assai poco genuine, creando ulteriori tensioni caucasiche con Erevan. Il fatto è che uno dei fattori più significativi del globalismo post-novecentesco è proprio il mercato libero internazionale, mentre il nuovo mondo russo “multipolare” si trova nel dilemma dell’impossibile autarchia a fronte dell’intercambiabilità dei sistemi di vita e delle culture popolari.

Nel mondo economico, sociale e culturale non esistono più di fatto le “grandi potenze” che impongono i propri modelli e la propria produzione, e le ambizioni della Russia vengono sempre più frustrate da una realtà globale che non ammette più l’esclusività delle caratteristiche locali. Il libero commercio internazionale funziona se tutti sono ammessi sullo stesso piano e con gli stessi diritti, una dimensione a cui i russi oggi rinunciano per principio, ponendosi in una condizione critica a cui non possono rimediare i decreti presidenziali o le isteriche iniziative legislative della Duma di Mosca, che cerca in tutti i modi di affermare i “valori tradizionali russi” che non sono mai esistiti nella storia, né a livello teorico, né nella realizzazione pratica, essendo sempre stati importati e riproposti a tutti i livelli.

Fin dall’antica Rus’ tutto viene da fuori, dall’Occidente e dall’Oriente, come lo stesso cristianesimo bizantino rivisto dai russi in modalità anche molto espressive, come nella novità del patriarcato “nazionale” (prima di quello di Mosca non esistevano patriarcati etnici), o nella intensità del monachesimo degli startsy capaci di proporre una spiritualità insieme orientale e occidentale. La struttura statale di un impero sterminato, gestito da pochi autocrati, è sicuramente la principale eredità della dominazione asiatica dei tataro-mongoli. Oggi tutto questo è riciclato nelle Playstation made in Russia, l’ultima possibilità di raggiungere la vittoria tanto sospirata della Russia nel mondo intero.

 

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