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Bonus Natale, ma ce n’era veramente bisogno? Perché la povertà non si vince con le agevolazioni #finsubito prestito immediato

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di
Alberto Brambilla*

Contro la povertà (economica ed educativa) non serve la fabbrica dei bonus: le agevolazioni non curano le patologie e non fanno salire la produttività

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Dopo l’assegno unico universale per i figli a carico (Auuf, la paghetta di Stato) che come avevamo previsto quest’anno supererà i 20 miliardi di costo per le esauste casse pubbliche, per arrivare il prossimo anno a oltre 23 miliardi, e dopo i vari sconti contributivi (a cosa servono le riforme delle pensioni se poi nessuno versa i contributi?) che in tre anni costeranno alle finanze pubbliche oltre 66 miliardi, dopo le nuove detrazioni per redditi rigorosamente sotto i 25 mila euro (altri 10 miliardi) e il Trattamento integrativo sui redditi di lavoro (Tir, 4 miliardi) per quelli sotto i 15 mila euro, ecco che arriva il bonus di Natale. Ci domandiamo: ma ce n’era davvero bisogno, soprattutto se i 100 euro non saranno netti?
Quando finirà questa politica malata del consenso a tutti i costi? Si rende conto il governo che al minimo scossone geopolitico con 3 mila miliardi di debito sul groppo finiamo in buca? Ma poi gli italiani sono così poveri?

Le spese folli per il gioco d’azzardo (legale)

 Iniziamo dal volume di denaro speso per il gioco d’azzardo: secondo i dati forniti dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli si è passato dai 111,18 miliardi di euro del 2021 ai 136 del 2022 per attestarsi nel 2023 alla spaventosa cifra di 150 miliardi. A questa somma occorre aggiungere almeno altri 25 miliardi di gioco illegale (20 miliardi per la procura antimafia) registrati nel 2022 e probabilmente in aumento anche nel 2023.
Una spesa pro capite superiore a quella sanitaria pari a 2.542 euro circa, compresi i neonati, enormemente più alta dell’imposta media pagata dal 56% degli italiani con redditi entro i 20 mila euro lordi l’anno. In Italia abbiamo 85 mila esercizi commerciali in cui si gioca; una slot machine ogni 143 abitanti, la Spagna una ogni 245 abitanti e la Germania una ogni 261 (dati 2019). Le quote pro capite per il gioco regolare sono maggiori nelle regioni con minori versamenti fiscali pro capite e questo dovrebbe far riflettere.




















































Il tempo sociale «sprecato»

Come evidenziato dalla sottosegretaria al ministero dell’Economia e delle Finanze, Sandra Savino, rispondendo a un’interrogazione parlamentare in Commissione Bilancio, oltre alla enorme somma spesa occorre considerare «il tempo sociale di vita (il tempo biologico) assorbito dai vari canali dove si punta denaro: dalla sala slot all’abitazione privata che per l’insieme della popolazione giocatrice corrispondeva a circa 90 milioni di giornate lavorative quattro anni fa diventate oggi almeno 140 milioni. Incrementa il numero dei conti di gioco online, che in pochi anni passano da tre milioni e mezzo di persone registrate nelle anagrafi dei concessionari, a oltre 5 milioni nel 2202.

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Case e telefonini da record

Gli italiani sono tra i maggiori possessori di prime e seconde case, detengono il parco auto più numeroso d’Europa (dopo il piccolo Lussemburgo); l’Italia è al primo posto in Europa oltre che per il possesso di abitazioni, autoveicoli e motoveicoli anche per la telefonia mobile e gli abbonamenti internet; secondo l’analisi di We Are Social il numero di connessioni da mobile è salito nel 2023 a 81,5 milioni (+1,2%), pari al 138,7% della popolazione. Il numero di smartphone è cresciuto dello 0,8% (il telefono più venduto) e oggi il 98,3% della popolazione tra i 15 e i 64 anni ne possiede almeno uno. Il 50,3% della popolazione tra 15 e 64 anni possiede un tablet, il 35,7% una console per il gaming, il 35,5% uno smart watch o dispositivo affine e il 23,8% dispositivi smart per la casa.
Gli italiani primeggiano anche per le tivù a pagamento soprattutto per sport e cinema. Siamo anche primi in Europa per consumo di acqua e tra i primi per consumo di carne. Siamo al secondo posto per possesso di animali da compagnia dopo l’Ungheria. Ci sono poi altre spese, tra le quali quelle per conoscere il futuro dai maghi e fattucchiere dove gli italiani primeggiano con oltre 9 miliardi (ultimi dati disponibili 2019), più di quello che si accantona per i fondi pensione, cioè per il futuro ma quello vero. Infine, ma ce ne sarebbero ancora, secondo i dati 2019 dell’Osservatorio Europeo l’Italia è al terzo posto per consumo di droghe dopo la Repubblica Ceca e la Francia; al secondo per la Cannabis (dopo la Francia) e al quarto per la cocaina. Non c’è uno spettacolo che non vada sold out in pochi giorni anche se costa molto come biglietti e trasferta.

Siamo «poveri benestanti»?

Insomma, sulla base delle spese e della ricchezza, potremmo definire gli italiani «una società di poveri benestanti»; per dirla alla Luca Ricolfi, una società signorile di massa. Anche perché nessuno indaga sui motivi di povertà e indigenza; certo indagini di questo tipo sono molto impopolari ma sarebbero necessarie come pure le differenze territoriali considerando che l’Istat situa il 30% della povertà al Sud. Infatti, il versamento pro capite dell’Iva al Sud è di circa 678 euro l’anno contro i 3.034 del Nord; è evidente che al Sud i circa 20 milioni di individui non vivono con consumi di quasi 4,5 volte inferiori a quelli del Nord. Quanto ai poveri, le ragioni della indigenza stanno spesso in condotte poco rispettose della propria persona e della società.

I numeri del malessere

Secondo l’Istituto Superiore di Sanità in Italia su 14 milioni di persone che hanno dichiarato di aver giocato almeno una volta nell’anno, i giocatori problematici (i ludopatici gravi) sono 1,5 milioni e, se hanno famiglia, coinvolgerebbero quasi 2,2 milioni di concittadini, tra cui molti bambini. Poi ci sono le tossicodipendenze, le alcoldipendenze, i problemi di alimentazione (bulimia e anoressia) e così via; e sono molti milioni.
Tutte persone che non vanno aiutate solo con l’Isee a vita, la Naspi, l’Auuf e il bonus Gesù Bambino ma con una seria presa in carico per restituirle alla società. Diminuirebbe la spesa assistenziale che nel 2023 ha toccato i 164 miliardi (quasi più delle pensioni al netto dell’Irpef) e aumenterebbero quelli che dichiarano più di 35 mila euro lordi che oggi sono solo il 15% della popolazione.
*Itinerari Previdenziali


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17 ottobre 2024



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