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La Banca Centrale Europea prosegue nella sua direzione di taglio dei tassi. Li riduce di altri 25 punti base, portando il tasso sui depositi al 3,25%, quello di rifinanziamento principale al 3,4% e sui prestiti marginali al 3,65%. Ma che conseguenze avrà questa mossa per le finanze degli italiani?
I mutui
L’impatto più immediato della nuova riduzione degli interessi è sui mutui: per quelli a tasso variabile le conseguenze saranno pressoché immediate. Il tasso cui fanno perlopiù riferimento, l’Euribor, dipende direttamente da quelli di Francoforte, recependone dunque le riduzioni. In totale, il risparmio dovrebbe attestarsi su una media di 13/30 euro al mese (fonte: Codacons). Quanto ai mutui a tasso fisso, i vantaggi sono solo nelle nuove sottoscrizioni, ma non sono da trascurare. Non per niente, anche in questo campo lo scenario sta cambiando. Incoraggiati dalle condizioni più favorevoli create dai recenti tagli, gli italiani tornano a chiedere prestiti per comprare casa. Nel solo mese di settembre, la domanda è salita del 19% (fonte: CRIF).
L’inflazione è sotto controllo?
L’altro elemento chiave determinato dai tassi e per essi determinante è il livello dell’inflazione e il costo dei beni di consumo. In quest’ambito, il quadro sta cambiando radicalmente: a settembre, l’inflazione anno su anno dell’Area Euro si è attestata all’1,7%, scendendo per la prima volta dall’inizio degli stimoli postpandemici sotto il 2%, target chiave della BCE. Anche per questo, l’istituto guidato da Christine Lagarde continua nella sua discesa, anticipando perfino (di una settimana) le decisioni cruciali della Federal Reserve. Tuttavia, si mantiene prudente e opta per un taglio di dimensioni ridotte, in vista di un nuovo aumento del dato inflazionistico nei prossimi mesi. In ogni caso, si prevede che una stabilizzazione sul 2% possa arrivare già nella prima metà del 2025, contro la previsione iniziale che la collocava nel secondo semestre. Il dato a cui guardare è ora la crescita, già particolarmente debole nell’Eurozona: nel secondo trimestre 2024 si è fermata allo 0,2%, contro il +0,7% degli Stati Uniti. Ma se i prossimi dati dovessero creare la preoccupazione di una recensione imminente, questo potrebbe portare la BCE a cambiare i suoi piani.
La situazione italiana
Rispetto a questo scenario, il nostro Paese sembra essere stranamente fuori fase: se la nostra crescita pare essere perfettamente in linea con quella di Europa e Area Euro, allo 0,2%, il nostro tasso di inflazione è decisamente sfasato. Da un lato, l’inflazione italiana anno su anno è visibilmente più bassa di quella globale, fermandosi a uno 0,7%. Dall’altro, il dato mensile va nella direzione esattamente opposta, con un’Italia che a settembre è il terzo Paese per aumento dei prezzi al consumo: salgono dell’1,2%, secondi solo all’1,6% del Portogallo e all’1,8% della Grecia. La percentuale dell’Area Euro, nel frattempo, cala dello 0,1%. Per confronto, la Francia, che è pure ferma a una crescita dello 0,2%, ha però un’inflazione annuale all’1,4% e un dato mensile in netta discesa dell’1,3%. È un dato di poco conto o quest’apparente frammentazione rischia di danneggiare la nostra economia?
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