Vicenza, lo stop del Tar. Due alluvioni in un mese e linee interrotte
Un piccolo affluente del Bacchiglione tiene in scacco la linea ferroviaria più importante del Nord Italia. Succede a Vicenza dove il Retrone, 12 chilometri di fiume, è un «Davide» in grado di bloccare «Golia» ovvero Rfi che si vede costretta a sospendere la circolazione dei treni sulla Milano-Venezia. È successo due volte in un mese, l’8 e 18 ottobre.
Il piccolo Retrone nasce a Creazzo e, all’altezza del tribunale di Vicenza, confluisce nel Bacchiglione. Su quest’ultimo, come su (quasi) tutti i grandi fiumi veneti, ci sono già bacini di laminazione in grado di contenere la furia delle acque, ma quando il livello del Bacchiglione si alza, il piccolo Retrone finisce contro un muro d’acqua ed esonda, allagando l’area sud del capoluogo berico. Succedeva una volta ogni trecento anni. I «tempi di ritorno» oggi, sono ben diversi: sta capitando in continuazione. E anche i binari si allagano con una cadenza preoccupante. È qui che questa vicenda si complica. Perché accanto alla linea storica sta avanzando anche il quadruplicamento dei binari per la realizzazione della Tav. Non è un caso, quindi, se nelle lunghe trattative relative all’attraversamento di Vicenza, Comune e Regione abbiano strappato a Rfi la realizzazione di un bacino da mezzo milione di metri cubi d’acqua sull’Onte, affluente del Retrone.
La realizzazione del mini-bacino a Sovizzo sull’Onte-Retrone, quindi, è in cima alle priorità. Tanto più che c’è già un progetto finanziato. Eppure l’opera è bloccata. Colpa di un ricorso «omnibus» di Italia Nostra al Tar del Lazio sulla linea ad Alta Velocità/Alta Capacità: 93 rilievi bocciati dal Tar tranne uno, quello sul bacino di laminazione sull’Onte-Retrone. Mancava un passaggio nell’iter di approvazione (il progetto iniziale di Rfi era un terzo dell’attuale). Questo succedeva il 24 luglio e, da allora, la palla è passata al Mase, il ministero dell’Ambiente che deve comunicare a Rfi se si debba ripresentare il progetto sul bacino da capo o si possa semplicemente integrare. Dopo quasi tre mesi di silenzio (e altre esondazioni con relativi blocchi della circolazione ferroviaria) a Vicenza scalpitano. Pare che entro fine mese si risolverà scegliendo la via dell’integrazione ma il tempo stringe.
Se Italia Nostra reputa tutta da appurare la portata e le conseguenze sull’ambiente del bacino sull’Onte, i tecnici fanno presente che quel bacino potrebbe addirittura non bastare. Ad aprile, inaugurando la cassa di viale Diaz, sempre in città, il presidente della Regione Luca Zaia, ricordando le prime esondazioni di febbraio, lanciava quella che per molti sarebbe la soluzione definitiva, un tunnel scolmatore sotto Monte Berico per convogliare in un punto più utile le acque del Retrone nel Bacchiglione: «Vogliamo lavorare sul Retrone, che resta il nostro cruccio, portando fuori l’acqua dall’alveo con un canale scolmatore e disperderla in un bacino, stiamo lavorando per questo». Al momento, però, del tunnel scolmatore non si sa più nulla. L’ipotesi progettuale iniziale, che prevedeva di usare la metà inferiore del «tubo» come scolmatore e quella superiore come sede stradale, costerebbe 60 milioni, se ci si limitasse solo all’acqua, si resterebbe intorno ai 20 milioni ma i fondi governativo per completare il Piano D’Alpaos dei 23 bacini ormai arrivano col contagocce.
E così sembra destinato a restare lettera morta anche un terzo progetto inserito nel Piano D’Alpaos per scolmare il Retrone: un bacino sulla Dioma (un altro affluente del fiume che sta paralizzando i treni del Nord Italia). E qui si innesta un altro tema ancora. La Dioma oltre a ingrossare le acque del Retrone è anche la roggia che passa dalla zona industriale di Vicenza. A febbraio c’è mancato un soffio che la prima zona industriale della Regione finisse completamente allagata. «Ma il bacino sulla Dioma, al momento, è uno studio di fattibilità senza un euro sopra» spiega l’ingegner Angelo Tonello, consigliere comunale con delega alla Tav e alle grandi opere. Preoccupato è il sindaco Giacomo Possamai: «Il Retrone fa paura perché senza il bacino sull’Onte non ci sono armi a disposizione. È necessario venga risolta immediatamente la problematica burocratica che l’ha fermato. Ma è altrettanto importante che vengano sbloccate e finanziate le altre opere necessarie, a partire dal bacino sulla Dioma. Non sono a rischio solo i treni ma anche la zona industriale più importante del Veneto».
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