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«Giulia un miracolo, prima ero un perdente. Invidiavo gli altri ragazzi perché avevano tanti amici» #finsubito prestito immediato – richiedi informazioni –


VENEZIA – Un fiume in piena. Filippo Turetta, che durante l’udienza di ieri si è dimostrato impacciato, balbettante, timido e terrorizzato, è più a suo agio con la carta che con la parola. Nel corso di mesi ha scritto una memoria difensiva (su suggerimento dei suoi avvocati), depositata mercoledì presso il tribunale di Venezia. “Non so cosa dire”, mette nero su bianco prima di riversare un flusso impressionante di pensieri a mano, con una scrittura ordinata che tradisce qualche tratto infantile: la L maiuscola che usa quando parla di Giulia, “Lei”, tutta ghirigori. “Mi sento come se qualunque cosa dico sia sbagliata”. Un senso di inadeguatezza che Filippo si porta dietro dall’infanzia: non si parla solo di Giulia, o meglio, Giulia è stata la manifestazione più distruttiva di un disagio che il giovane covava da tempo. “Mi sono sempre sentito uno sfigato”, scrive in un capitolo in cui ripercorre tutta la sua vita. “Ero invidioso degli altri ragazzi perché avevano tanti amici. Ero molto timido e non riuscivo a costruire veri rapporti. Gli altri sembravano avere una vita molto più felice rispetto alla mia e per questo un po’ li invidiavo. Mi odiavo perché avrei voluto essere come loro”.

IL MEMORIALE DI FILIPPO TURETTA

L’INFANZIA

Un’infanzia e una vita trascorsa nel grigiore di rapporti inconsistenti e scelte di vita poco convinte. “Avevo una vita normale ma non ero felice. Non ho mai avuto sogni, obiettivo o passioni sentite che inseguivo. Per me è sempre stato quasi indifferente e prendevo le scelte un po’ a caso”. L’unica, grande passione della sua vita, traspare dalle pagine manoscritte, è colei che ha ucciso, Giulia. “Lei è stata un miracolo, qualcosa di unico nella mia vita”, scrive ripercorrendo le prime fasi della relazione, quelle in cui tutto va bene. O forse no? “Lei voleva uscire con un amico e a me dava fastidio”, scrive Filippo, forse in un barlume di consapevolezza della sua immaturità emotiva. “Lei faceva belle cose e le chiedevo che me le raccontasse per nutrirmi della sua felicità”. Giulia diventa un totem, un argine contro una vita che Filippo percepisce come insensata. Un procedimento emotivo che porta a idealizzare l’amata: “Con Lei non ho mai provato alcuna invidia. Dopo di Lei non ci sarebbe stato alcun miracolo e sarei rimasto solo e infelice per sempre”.





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