Macerata, 27 ottobre 2024 – Ricostruzione fra luci e ombre, otto anni dopo. Da un lato le prove di rinascita di chi è rientrato a casa o nel proprio negozio. Dall’altro le incertezze di chi non sa ancora quando inizieranno i lavori. Tra i nodi da sciogliere c’è il rischio delle spese “in accollo”. Diego Camillozzi, presidente dell’associazione “La terra trema noi no” (con sede a Muccia ma operante in tutto il territorio) lancia un appello alle istituzioni e al commissario straordinario Guido Castelli affinché venga incrementato il costo parametrico, ovvero gli strumenti che servono per determinare il contributo di ricostruzione.
Altrimenti, se non ci sarà l’aumento, che venga almeno prorogato il Superbonus 110 – la cui scadenza nelle aree del sisma per ora è fissata alla fine del 2025 – anche per coloro che non hanno iniziato i lavori.
“Sembra ci sia ancora molto tempo a disposizione – spiega Camillozzi con la compagna Ludvina Cinti – ma in realtà, considerando i tempi delle pratiche e dei progetti, non è così. Dobbiamo fare in modo che i terremotati non diventino i nuovi ‘esodati del Superbonus’. La scadenza è una mannaia e l’accollo, quando non si riesce a rispettare il termine, ricade sulla committenza, sul terremotato. E parliamo di decine di migliaia di euro (se non di più). Bisogna riflettere sull’opportunità di un intervento normativo che consenta per i cantieri iniziati con il Superbonus di godere dell’incentivo anche oltre il 2025, fino alla fine degli interventi stessi. Altrimenti lo scenario, se le cose non dovessero cambiare, potrebbe essere fatto di cittadini e imprese dall’avvocato per i contenziosi perché l’impresa mette sì la firma, ma se non vengono rispettate le tempistiche, è comunque il committente a dover pagare le spese in accollo se non può usufruire del bonus. È importante tutelarsi”.
Camillozzi evidenzia poi che ricostruire “dov’era com’era” non ha senso nelle zone con dissesto idrogeologico. “È capitato persino che qualcuno ha ricostruito casa per poi scoprire di doversi spostare per il risultato emerso da sondaggi e studi fatti in un secondo momento – aggiunge la coppia –. In alcune aree è meglio delocalizzare, a salvaguardia in primis di chi le abita”.
Secondo il presidente dell’associazione, per il vero rilancio dei Comuni più colpiti serve “una zona franca, con alcuni benefici tributari, nei paesi in cui si registra oltre il 60% di case lesionate dal sisma”. Nato a Camerino, Camillozzi ha sempre vissuto a Muccia. È stato uno dei promotori della manifestazione del 2 febbraio 2017 a Roma: “Da subito si è capito che il problema era più grande di come si prospettava”, spiega Camillozzi, ribadendo ancora oggi con fermezza i diritti dei terremotati.
La sua è un’associazione di volontariato, nata anche per tutelare le fasce più deboli della popolazione. Anche la compagna fa parte del direttivo. Cinti è di Pieve Torina, paese di origine dei nonni paterni che, dopo anni di duro lavoro in miniera in Belgio, erano voluti tornare nel paese natale. Costretta a vivere lontana dalla casa inagibile e mossa dalla volontà di veder ricostruiti i territori dove è nata e cresciuta, anche lei si batte per portare alla luce le criticità del sisma, affinché cittadini e istituzioni collaborino insieme per una soluzione.
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