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il vintage del futuro è una bici elettrica – #finsubito prestito personale immediato – Richiedi informazioni


Era il sogno di ogni ragazzo negli anni Settanta: sella lunga, fanale sovradimensionato e tondo quasi fosse una motocicletta e dotata di forcelle anteriori e sospensioni che, oltre a permetterle di affrontare anziché evitare le buche più dure, la certificano a tutti gli effetti come la prima mountain bike ammortizzata della storia. È la Saltafoss, una bicicletta nata a cavallo tra le province di Varese e Milano per l’intuizione di Giulio Ceriani e diventata un mito per generazioni di ragazzi. L’aura non è scomparsa neppure oggi, a oltre cinquant’anni dalla prima serie, e si rinnova non solo nel ricordo di appassionati e collezionisti che ancora le cercano e restaurano, ma anche nella “terza serie“, ovviamente elettrica, nata dall’entusiasmo di un altro giovane imprenditore visionario del territorio.

“Mio padre Giulio aveva un negozio di motocicli a Busto Arsizio – racconta oggi Paolo, che fu il primo “collaudatore“ della Saltafoss e che oggi è titolare con la sorella di una concessionaria moto a Castellanza –. Un giorno decise di trasformare una Carnielli Roma Sport montando una forcella anteriore e aggiungendo particolari capaci di rendere la bicicletta più simile a una moto: il progetto è nato da lì e il nome Saltafoss dal vedere me e i miei amici saltare da una montagnetta all’altra in sella alla due ruote”.

Arrivano così i test sulle piste da cross del Ciglione a Malpensa e poi i particolari, continuamente modificati e aggiornati: nuove piastre, manubri, ammortizzatori. È nata la Saltafoss, e qual è la prima mossa di marketing “ruspante“ pensata da Giulio? Regalare le prime trenta biciclette assemblate ai compagni di classe di Paolo, che diventano così i primi testimonial “live“ sulle strade del territorio. La Saltafoss è troppo “avanti“, ora si direbbe cool, e piace subito: fa sentire più grandi i ragazzini, diventa oggetto del desiderio, e la pubblicità sulla rivista Motociclismo fa il resto. Il gioco è fatto: Giulio Ceriani e Paolo Torretta, che si occupò della produzione in serie a Vanzaghello, “decollano“ e per quindici anni anche la Saltafoss vola e le imitazioni si sprecano. Con l’avanzata delle mountain bike negli anni Ottanta, però, la produzione cessa, ma Saltafoss resta un oggetto di culto, officiato da appassionati che continuano a cercarle, restaurarle e venerarle.

Ora ci spostiamo qualche decina di chilometri a sud est, a Bollate, e qualche decennio più avanti. Pandemia, tutti in casa, compreso Marco Cordaro, un giovane creativo – un “narratore visivo” come si presenta sul suo sito – che collabora con artisti, brand e aziende di rilievo. Oggi ha 35 anni: “Io in realtà la Saltafoss l’ho provata solo una volta da bambino perché l’aveva un mio vicino di casa – racconta, dividendo tra le categorie di chi la Saltafoss l’ha avuta, invidiato, e chi l’ha solo provata –. Però mi è rimasta in qualche modo addosso: comprata una fat bike ho iniziato a ripensarci fin quando, cinque anni fa, la mia compagna me ne ha regalata una. Poi è arrivato il Covid…”. Tieni fermo un creativo e presto nascerà un’altra idea da sviluppare. Così succede.

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“Mi sono messo al Cad e ho disegnato qualcosa di simile a ciò che è adesso. Ho capito che non sarebbe stato così semplice, ma passo dopo passo si è formato un team, completato da un ingegnere poi diventato mio socio”. Marco si informa, incontra anche Paolo Ceriani e la famiglia Torretta: nasce “Officine Cordaro“ e nel 2021 esce la prima nuova Saltafoss, ovviamente elettrica, la terza serie: “Gran parte dei pezzi sono prodotti in Italia, dagli ammortizzatori al telaio, sino alla sella – racconta Marco –. Ora abbiamo pronta la prima edizione, fatta di cinquanta pezzi, tutti numerati. La reazione? Piace ai giovani, ma anche a chi ha amato la Saltafoss storica e di questo siamo davvero contenti”. Ma non solo: Marco si sta occupando anche di un documentario che racconterà tutta la vicenda della Saltafoss, con interviste e immagini esclusive: “Sarà pronto tra pochi mesi – conclude –. L’obiettivo è realizzare un documentario che abbia lo stesso mood… non possiamo tradire il mito”.



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