Gli atenei telematici continuano a godere di agevolazioni, grazie all’attenuazione del decreto Bernini promossa dalla Lega, mentre l’università pubblica affronta tagli e riduzioni di risorse. Nonostante le promesse di equità per gli studenti, il governo sembra favorire indirettamente gli interessi dei privati. Vediamo nel dettaglio le implicazioni di questo nuovo scenario e come si è arrivati a una riforma diluita a vantaggio delle università telematiche.
Il Decreto Bernini: la regolamentazione sugli Atenei Telematici e i rallentamenti causati dalla Lega
La ministra dell’Università e Ricerca, Anna Maria Bernini, aveva introdotto un decreto volto a regolamentare le università telematiche, imponendo loro standard più rigorosi, specialmente in termini di rapporto studenti-docenti. Questo decreto era atteso dal 2023, ma ha subito ritardi a causa delle resistenze della Lega, che si è schierata a favore degli interessi dei privati. La Lega ha difeso le università telematiche giustificandone il ruolo come risposta alle esigenze degli studenti a basso reddito, impossibilitati a sostenere i costi di affitto nelle città universitarie o vincolati da impegni lavorativi.
Tuttavia, dietro queste giustificazioni emergono forti interessi privati. L’ex deputato PD Luciano Violante, presidente del gruppo Multiversity (che controlla importanti atenei come Pegaso, Mercatorum e San Raffaele), rappresenta uno dei principali esponenti del settore, supportato da figure di spicco nell’advisory board come Pierluigi Ciocca e Gianni De Gennaro. Questi attori influenti hanno contribuito a fare pressione per una normativa meno stringente.
I numeri degli Atenei Telematici in Italia: il trend è in crescita, ma non mancano le criticità
Attualmente, in Italia ci sono 11 università telematiche accreditate, di cui 9 private. Tra le più note troviamo Pegaso, E-Campus, Mercatorum e Unicusano. Queste istituzioni non operano per scopi filantropici, ma rappresentano importanti gruppi di interesse, autorizzati dalla riforma Gelmini del 2010 a diventare società di capitali. L’ex ministra Maria Cristina Messa aveva fissato la fine del 2024 come scadenza per l’adeguamento del rapporto studenti-docenti a standard simili a quelli degli atenei tradizionali. Tuttavia, un emendamento della Lega ha già ottenuto una proroga e si oppone a ulteriori restrizioni.
Negli ultimi dieci anni, mentre il numero di studenti nelle università statali è calato di circa 19.000 unità, le immatricolazioni nelle università telematiche sono cresciute del 410%. L’offerta formativa è passata da 70 corsi nel 2011 a 250 nel 2024, ma senza un adeguato incremento del corpo docente. Attualmente, il rapporto studenti-docenti è di 384,8 a 1 negli atenei telematici, rispetto a un già elevato 28,5 a 1 nelle università tradizionali (contro una media europea di 1 a 14,3).
Le modifiche al Decreto Bernini: un compromesso al ribasso
La pressione della Lega ha portato a un annacquamento del decreto Bernini, lasciando invariati i requisiti minimi di docenza per i corsi telematici e raddoppiando il numero massimo di studenti per corso. Anche la percentuale di lezioni in presenza è stata ridotta, limitandosi ad esami e lauree, con possibilità di ulteriori deroghe. Questo compromesso avvantaggia gli atenei privati, che potranno continuare a espandersi senza dover rispettare gli standard più rigorosi imposti alle università pubbliche.
Questa situazione ha suscitato reazioni critiche. Secondo Giovanna Iannantuoni, presidente della Conferenza dei rettori (CRUI), è falso affermare che le telematiche non costino allo Stato e che rappresentino una reale alternativa formativa. Iannantuoni ha sottolineato che offrire solo una formazione digitale non contribuisce a sviluppare coscienze critiche e che, piuttosto, bisognerebbe sostenere gli studenti svantaggiati con borse di studio e accesso a università di alta qualità.
Verso un’Università privata e profit?
Il compromesso trovato rappresenta un pericoloso precedente per il futuro dell’istruzione superiore in Italia. La crescita delle università telematiche a scapito della formazione pubblica rischia di portare a un sistema educativo sempre più orientato al profitto e sempre meno inclusivo. L’assenza di un controllo rigoroso sulla qualità didattica e il dumping al ribasso nelle condizioni di lavoro rischiano di rendere le università telematiche un’alternativa di serie B, che non risponde realmente ai bisogni degli studenti ma piuttosto agli interessi di gruppi privati.
Con la prossima revisione del decreto, il governo italiano ha l’opportunità di ripensare questa scelta e investire su un sistema formativo che rispetti i diritti degli studenti e garantisca un’istruzione di qualità, indipendentemente dalla modalità di erogazione.
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