Nonostante il nome e i tratti somatici asiatici, Sander Joonyoung non parla benissimo coreano. «Me la cavo. Per sopravvivere funziona». Lui però è nato in Olanda (madre coreana, papà olandese) e vive a Berlino dove, insieme alla moglie tedesca Veronika Strotmann, ha avuto l’idea, quattro anni fa, di fondare un brand di cosmetica coreana. «Ogni volta che andavo a Seoul, tornavo con la valigia piena di prodotti perché tutti — amici, parenti, colleghi — mi chiedevano qualcosa. Così, a un certo punto ho pensato che invece di stiparli in un bagaglio potevo produrli creando un marchio studiato apposta per il mercato europeo». Questa la genesi di Yepoda marchio di cosmetici realizzati in Corea ma disponibili solo nel Vecchio Continente e, in questi giorni, anche in un popup store alla Stazione Centrale di Milano. Il successo del brand, viralissimo in rete, è la conferma del trend in costante crescita della bellezza made in Seoul.
Nel 2022, il mercato dei cosmetici coreani ha infatti fatturato oltre 5 miliardi di dollari e si prevede che entro il 2032 raggiunga i 12,6 (fonte, Statista). L’export beauty dalla Corea del Sud, inoltre, è il secondo in ordine di grandezza. Sander e Nika, l’affiatatissima coppia di fondatori di Yepoda, hanno quindi avuto l’idea giusta al momento giusto. Competenze beauty ne avevate? «In realtà no. Prima di fondare il brand, entrambi lavoravamo per una start up di fast fashion dove abbiamo imparato tutto su come creare e far crescere un’azienda», raccontano. E Sander aggiunge: «Per me, però, era un fatto personale: sono cresciuto permeato dalla cultura coreana e ci tenevo a raccontarla anche attraverso la cosmetica. Che si trattasse di un trend in ascesa ha sicuramente contato, ma era più importante l’idea di diffondere la visione del mio Paese di origine». Il successo planetario della KBeauty secondo la co-fondatrice, «è dovuto al livello di innovazione e tecnologia che la cosmetica locale ha. La bellezza coreana, come gli orologi svizzeri, le macchine tedesche o la pelletteria italiana, sta diventando sinonimo di eccellenza», dice. «Lo conferma anche il fatto che il tempo dedicato alla skincare in questo paese è cinque volte superiore rispetto all’Occidente. La pelle è il vestito che indossi per tutta la vita e la sua cura è il maggior investimento che puoi fare per la tua bellezza», interviene Sander. Pelle che, per essere considerata bella in Corea, deve avere un aspetto “vetrificato” e flawless (impeccabile) come il trend della glass skin insegna. Il fascino delle imperfezioni non è contemplato dal look glassy. Yepoda, però, (che tradotto vorrebbe dire carino/a) più che di pelle di vetro, rivolgendosi a un pubblico europeo, parla di sostenibilità, formule clean ed efficacia senza compromessi. Il successo, abbastanza inaspettato, li ha travolti: «Non ci aspettavamo le file davanti ai pop up store né la viralità sui social. Non era neanche nei nostri sogni», confessa Veronika.
I più affascinati dalla KBeauty sono i teenager, ma nessuno dei prodotti del brand è specificamente dedicato a loro: «Perché seguiamo il criterio coreano della prevenzione. Gli anti-età, cioè, vanno usati prima che le rughe compaiano. Senza contare che i nostri ingredienti sono tutti soft. Non utilizziamo il retinolo, per esempio, ma il bakuchiol, versione naturale e più delicata della vitamina A, adatta anche a pelli young», spiega il fondatore. Per loro e tutti gli amanti del marchio, è in arrivo a dicembre una crema mani. Forse il segnale di un ampliamento della gamma dal viso al corpo. Un successo annunciato.
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