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“Casa di Carta”: indagati per la maxi truffa anche tre soggetti da Erbusco, Salò e Borgosatollo #finsubito prestito immediato


La «Casa di carta» operava anche a Brescia. Citando la celebre serie tv, è stata chiamata così dagli inquirenti la corposa indagine che ha portato alle prime luci dell’alba di martedì 5 novembre 2024 a smantellare una radicata organizzazione criminale dedica alla sistematica truffa ai danni dello Stato.
Nella rete sono finite diciannove persone: sette sono in carcere, altre sette ai domiciliari e altre cinque hanno l’obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria per tre volte a settimana. Ai domiciliari è finita Kiara Aurora Rodrigues Di Fabio, marchigiana residente a Brescia. Tra gli indagati ci sono un 54enne di Erbusco, Massimo Campa, considerato uno degli «operativi» dell’organizzazione, e due prestanome: un 56enne di Salò, Giovanni Bonometti, e un 45enne di Borgosatollo. I primi due sono stati sottoposti alla misura dell’obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria tre volte a settimana, mentre il terzo è a piede libero.

 

Società di cartapesta

Un nome azzeccato: erano veramente “di cartapesta” le decine e decine di società-fantoccio che i presunti responsabili dell’organizzazione avevano “truccato” da ricche e solide aziende locali, intestandole poi a prestanome. Grazie a questo maquillage, riuscivano ad accedere a corposi prestiti garantiti dallo Stato, tramite il Fondo di garanzia gestito da Mediocredito Centrale S.p.A. Truffando così sia le banche cui si rivolgevano che lo stesso Stato garante di prestiti sistematicamente non rimborsati. Le ordinanze di custodia cautelare sono state notificate stamane all’alba dalle Fiamme Gialle del Comando provinciale di Como, su richiesta della Procura di Monza coordinata dal procuratore capo Claudio Gittari.

Tutto è cominciato in Brianza

Le indagini, coordinate dal pm Trianni, hanno avuto inizio l’anno scorso, a seguito di alcune operazioni finanziarie sospette arrivate all’occhio vigile della Procura. Riguardavano infatti gli amministratori di una società monzese, già coinvolti in procedimenti penali per condotte fallimentari e truffaldine. Alle spalle della società, avrebbero scoperto gli inquirenti, c’era però qualcosa di decisamente grosso. La base operativa della rete era un capannone di Cinisello Balsamo (MI), affittato ad una azienda neo costituita attiva nel settore della telefonia e intestata ad un prestanome. È proprio dalle indagini sui personaggi coinvolti che è emerso il resto.

Analizzando bilanci e traffici sui conti correnti, intercettando telefonate e movimenti bancari, gli inquirenti hanno ricostruito il modo che i responsabili avevano ideato per ottenere dagli Istituti di credito finanziamenti garantiti dallo Stato attraverso il Fondo di garanzia gestito da Mediocredito Centrale S.p.A, fondi che poi utilizzavano per acquisti di lusso.

Come funzionava la truffa

In sintesi, lo schema di frode applicato in più occasioni dall’organizzazione cominciava con l’indivuare una società attraverso cui chiedere il finanziamento, privilegiando quelle costituite da qualche anno che non avessero subito dei controlli dal fisco. Si trattava di aziende attive prevalentemente nei settori del commercio all’ingrosso di polimeri, carta, cartone e delle apparecchiature informatiche con sedi fittizie in Milano, Brescia, Bologna e Venezia. Attraverso prestanome, la “Casa di carta” acquistava quote delle società prescelte, assumendone quindi il controllo. Da lì non era difficile arrivare a falsificarne i bilanci, anche grazie a finti aumenti di capitale. L’azienda doveva apparire solida e in grado di restituire il finanziamento che infatti veniva prontamente richiesto con la complicità di un’agenzia finanziaria che lavorava nella città di Brescia.

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Il teatrino per i funzionari delle banche: il ruolo del bresciano

Si trattava ora di mettere in piedi un vero e proprio teatrino. Perché ovviamente alle banche coinvolte spesso i soli documenti non bastavano, e prima di erogare i mutui inviavano presso le sedi aziendali dei funzionari addetti a ulteriori sopralluoghi e ispezioni. Ed è qui che, almeno in un’occasione, è entrato in azione il primo dei bresciani coinvolti, il 64enne di Erbusco.

Nello specifico, l’organizzazione stava curando il “maquillage” di un’azienda di Venezia, la DL Inspections, e avevano appena gonfiato il capitale sociale da 10mila a 3,5 milioni di euro, dichiarando peraltro un attivo inesistente da 7,78 milioni di euro. Tramite una banca di Modena, nell’agosto 2023 è stata quindi inoltrata la richiesta di finanziamento garantito. L’erbuschese, secondo gli inquirenti, era il coordinatore del teatrino ad uso dei bancari, che sono in effetti caduti nel tranello, accordando un prestito da mezzo milione di euro.

Una prassi consolidata: a proprie spese, il sodalizio criminale delegava spesso un tuttofare per queste sceneggiate, che consistevano ad esempio nel tinteggiare il cancello del capannone affittato per l’occasione, nel posizionarvi una targa con il nome, nel portare sul posto dei macchinari e persino nell’arruolare falsi operai da presentare come dipendenti dell’azienda. Tutto falso, ovviamente.

Incassavano i mutui garantiti dallo Stato

Le pratiche di finanziamento spesso procedevano, e venivano presentate dalla banca a Mediocredito Centrale S.p.A. che deliberava l’ammissione alla garanzia pubblica, che per legge è nella misura dell’80. Ultimo step: incassare l’accredito, direttamente sui conti correnti delle società coinvolte. A quel punto, il gioco era quasi fatto. I fondi venivano in minima parte utilizzati per pagare i costi “fissi” (ad esempio le rate di precedenti finanziamenti erogati ad altre società fantoccio che bisognava onorare per non far saltare anzitempo le truffe in corso), mentre la maggior parte era spesa per esigenze personali.

E poi facevano sparire i soldi, anche all’estero

Si sono documentati acquisti di autovetture di grossa cilindrata e camper, oppure drenata con varie modalità dai conti societari tramite altri prestanomi, oppure tramite altre società. Molto spesso si trattava di ditte cinesi con conti internazinoali in Danimarca, Belgio e Germania, oppure ditte ceche, che venivano pagate tramite i fondi neri per operazioni commerciali fasulle coperte da false fatture.

Ultimo atto: non pagare le rate, sfruttando l’alluvione del Modenese nel 2023

A questo punto non restava che prendere tempo e sparire. Quando le banche truffate lamentavano il mancato pagamento delle rate, in alcuni casi la rete de La Casa di Carta ha chiesto e ottenuto un moratoria sui pagamenti simulando situazioni di difficoltà finanziaria. In un caso, prima di entrare in Banca, il capo dettava alla sua testa di legno la linea da tenere con l’impiegato, al quale sarebbe stato raccontato che i mancati pagamenti delle rate erano da addebitarsi ad inadempienze dei fornitori dovute ai disagi creati dall’alluvione nel modenese del 2023.

Le misure cautelari e il sequestro dei beni

Oltre alle 19 misure cautelari, il Gip di Monza ha disposto il sequestro preventivo diretto e per equivalente dei beni riconducibili agli indagati per 13,8 milioni di euro: una stima del profitto dei reati contestati. L’accusa principale è di Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.

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