La manovra 2025 «non offre risposte adeguate ai problemi» e «non appare in grado di invertire quella tendenza a livelli di crescita da zero virgola, che, con l’eccezione della fase post pandemica, ha caratterizzato la nostra economia negli ultimi 25 anni». Un fulmine a ciel sereno. Il direttore generale di Confindustria, Maurizio Tarquini, in audizione sulla legge di Bilancio, ha criticato pesantemente la Finanziaria, nonostante dall’inizio del mandato del presidente Orsini i rapporti con Palazzo Chigi siano molto più distesi rispetto al recente passato.
Eppure, esclusi il taglio del cuneo con annessa riforma Irpef e l’avvio del Piano Casa Italia per i lavoratori fuori sede, tutto il resto dell’intervento è una sequela di lamentele volte ad aumentare le dotazioni di capitoli di spesa che stanno a cuore agli industriali. Perché, ha detto Tarquini, «sono sostanzialmente assenti il sostegno agli investimenti e alle imprese che li realizzano». Vanno bene il rifinanziamento del credito d’imposta Zes unica (1,6 miliardi) e della Nuova Sabatini (400 milioni) nonché quello per la quotazione delle Pmi. Mancano, secondo il dg, una riproposizione dell’Ace, l’aiuto alla crescita economica per favorire la capitalizzazione delle imprese (abrogato per finanziare il taglio del cuneo; ndr). Di qui la richiesta, avanzata anche da Orsini, «di essere coraggiosi, disegnando un meccanismo di Ires premiale: un taglio significativo, nell’ordine di cinque punti percentuali per essere competitivi in Europa». Chiesto anche il rifinanziamento del credito d’imposta in Ricerca & Sviluppo.
Per Confindustria – anche se a parlare è il direttore generale e non il presidente Orsini – è prioritario anche rifinanziare parzialmente il Fondo automotive (la cui dotazione per il periodo 2025-2030 è stata ridotta di 4,6 miliardi) «per sostenere l’offerta nella delicata sfida della transizione e non, invece, per potenziare la domanda». Idem per il Fondo di garanzia Pmi cui andrebbero destinati almeno 200 milioni per garantire accesso alla Nuova Sabatini. Sarebbe, poi, «opportuno prevedere un finanziamento alla ricerca sui nuovi vettori nucleari» visto che non ci sono interventi a favore della riduzione del costo dell’energia.
Chiesta, infine, l’eliminazione della norma che prevede la nomina di un rappresentante del Mef come sindaco o revisore nelle società che ricevono contributi pubblici. «La scelta – ha concluso Tarquini – è tra tornare a essere un propulsore di innovazione, di opportunità per le giovani generazioni di migliorarsi» oppure «declinare verso l’immobilità, la rendita, verso modelli di economia a basso valore aggiunto».
Il paradosso è che Confindustria, ponendosi in una posizione così fortemente critica verso la manovra, rischia di collocarsi in prossimità di Cgil e Uil. La prima ha sostanzialmente richiesto una patrimoniale per drenare risorse da redistribuire sui salari. La seconda, invece, ha bocciato ancora una volta il concordato.
Fotografie di parti sociali che procedono in ordine sparso come atomi di gas in un contenitore, aumentando l’entropia del sistema.
Confcommercio ha chiesto la riduzione della seconda aliquota Irpef dal 35 al 33% «con il supporto degli esiti del concordato», mentre Confesercenti ha auspicato una riapertura dei termini della procedura, chiusa lo scorso 31 ottobre, proprio per consentire una maggiore adesione. L’obiettivo è comune: favorire i consumi attraverso un taglio delle tasse. Preoccupata, infine, l’Ance (costruttori edili): la forte limatura degli incentivi avrà effetti negativi sulla crescita.
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