Secondo un’analisi Iren-Teha con 1,2 miliardi di investimenti si ridurrebbe di un terzo la dipendenza dall’estero. La roadmap tracciata nel report: riciclo, rafforzamento della filiera italiana, infrastrutture in Africa
La dipendenza dall’estero è il problema principale. Le filiere italiane per le materie prime critiche strategiche non sono pronte e l’industria non ha ancora i mezzi per essere autosufficiente. Questo nonostante l’Italia abbia approvato il decreto materie prime critiche per adeguarsi agli obiettivi del Critical raw material act europeo. Iren ha allora commissionato a The european house Ambrosetti (Teha) uno studio per capire quanto incidono oggi le commodities sui settori strategici, quanto bisognerebbe investire per affrancarsi nel medio termine dai paesi terzi, e quali strade potrebbero accelerare il processo. Tra le soluzioni proposte: investire in una filiera nazionale ed europea, riportare la presenza italiana in Africa e potenziare l’economia circolare. Teha ha individuato i nodi primari analizzando circa 50 i documenti ufficiali – dai report della Commissione europea a quelli della World Bank – e li ha sintetizzati in una roadmap presentata il 4 novembre a Roma.
L’incidenza delle materie prime sull’industria
La strategia parte dai calcoli. Secondo quanto rilevato da Teha-Iren, le materie prime critiche oggi incidono sulla produzione industriale italiana per 690 miliardi di euro. «Dallo sviluppo di questi materiali dipende il 32% del pil italiano – sottolinea il presidente di Iren Luca dal Fabbro – oltre che la competitività industriale e la sicurezza nazionale». L’Italia però è indietro negli investimenti, come anche l’Europa, dove nel complesso il comparto ha stanziato 2,7 miliardi contro i 14,7 utilizzati dalla Cina. La catena europea di approvvigionamenti è quasi inesistente e proprio dalla filiera cinese deriva oggi circa il 56% delle materie prime critiche importate nell’Unione.
Come documentato lo scorso luglio da Ispra, solo 2 delle 17 materie prime critiche presenti in Italia vengono attualmente estratte sul nostro territorio, cioè feldspato e fluorite. Sono essenziali per produrre ceramica, acciaio e alluminio ma coprono solo in minima parte i settori tecnologici ed energetici. Per la robotica, ad esempio, nel 2022 abbiamo importato gallio e indio per 14,5 miliardi di euro, per i semiconduttori 1,4 miliardi di euro degli stessi materiali, l’Aerospazio ha comprato all’estero 13 miliardi di euro di tungsteno due anni fa. «Con 1,2 miliardi di euro di investimenti – dice il managing partner & ceo di Teha Valerio De Molli – , l’Italia potrebbe ridurre la dipendenza dall’estero per le CRM di quasi un terzo e valorizzare quasi 6 miliardi di euro di materie prime seconde al 2040».
Le filiere vulnerabili e il monopolio cinese
Sul totale di 3.016 siti minerari attivi negli ultimi 150 anni, solo 94 hanno una concessione attualmente in vigore. «Nel breve e medio termine – rileva Ambrosetti nel report – la priorità dell’Italia deve essere la ricostruzione delle competenze minerarie e la promozione di un piano di esplorazione nazionale che quantifichi l’effetto dei siti». Sull’estrazione di cobalto, i giacimenti più importanti si trovano in Sardegna e Piemonte, dove Punta Corna è considerato di rilievo strategico al livello europeo. Per il rame ci sarebbero le riserve dell’Appennino ligure-emiliano, le Alpi occidentali e la Sardegna oltre a una grossa scorta di litio nei pressi del lago di Bracciano, nel Lazio. Per decenni questi giacimenti sono stati abbandonati e ora servono investimenti per farli ripartire.
Oltre a recuperare terreno sulle estrazioni, Teha-Iren sottolineano la necessità di affermarsi nella raffinazione. Secondo il Crm act entro il 2030 il 40% del consumo deve provenire da raffinazione in Europa, ma seguendo le capacità attuali l’Ue non può superare il 5%. L’Italia secondo il report può sfruttare le conoscenze industriali nel trattamento chimico-fisico, specie per materiali come il litio, il che garantirebbe di creare una filiera integrata attrattiva per gli stakeholder. Accanto a questo, l’analisi suggerisce di creare nuove partnership con i paesi africani.
L’Africa e l’economia circolare
Dall’Africa proviene oltre il 90% delle riserve mondiali di materiali strategici per il gruppo platino e il 56% del cobalto. Nella Repubblica democratica del Congo l’estrazione contribuisce al 47% del pil, in Zambia e Namibia incide rispettivamente per il 17% e l’11%. I materiali estratti nel continente africano vengono comunque poi lavorati e raffinati principalmente in Cina. Per la roadmap disegnata da Teha-Iren bisogna riprendere gli investimenti in materie prime critiche nel continente (ridotti del 70% negli ultimi 10 anni) e tornare a promuovere lì uno sviluppo industriale e delle infrastrutture. «Il Piano Mattei può essere uno strumento per la collaborazione tra Italia, Unione europea e Africa», scrive Ambrosetti.
In Italia, poi, bisogna lavorare sull’economia circolare. Il Critical raw material act fissa al 25% il target di riciclo da raggiungere entro il 2030. Oggi metà dei flussi di Rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) in Europa sfugge ai sistemi di raccolta. I rifiuti elettronici non riciclati finiscono in esportazioni illegali, smaltimento non conforme e creano perdite per 10 miliardi di euro. Iren è attiva nel riciclo con l’osservatorio RigeneRare e un impianto in via di inaugurazione in Valdarno per il trattamento di Raee. Secondo il report, nei prossimi anni lo sviluppo di filiere domestiche per la transizione energetica aumenterà il fabbisogno italiano di materie prime grezze del 320%, e questi rifiuti potrebbero essere utili.
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