L’imprenditore alla guida dell’omonimo pastificio di Gragnano, chi investe e porta Pil agli Usa benvenuto per Trump
“Dal punto di vista commentale, a noi serve sempre chiarezza, ad esempio nei rapporti doganali che sono ormai stabili da anni. Non c’è, a mio parere, un grosso pericolo per la pasta: già paga dazio, non immagino che possa crescere. Si tratta di una misura protezionistica che vede il prezzo italiano contro quello americano, e ogni anno viene rivisto con un sistema molto elaborato di valutazione. Non vedo quindi grosse problematiche rispetto a questo”. Così, con Adnkronos/Labitalia, Giuseppe Di Martino, alla guida dell’omonimo pastificio di Gragnano, commenta l’elezione di Donald Trump e il rischio che ci siano nuovi dazi sull’importazione di prodotti italiani negli Usa.
Erede di una delle più antiche famiglie di pastai di Gragnano, Giuseppe Di Martino è amministratore delegato e presidente del cda del Pastificio Di Martino Gaetano & F.lli S.p.A., che gestisce insieme alla sorella Giovanna. Più di 100 anni di esperienza nella produzione di Pasta di Gragnano fanno la famiglia Di Martino il punto di riferimento nel mercato mondiale della pasta di Gragnano IGP (Indicazione Geografica Protetta). Distribuito su 7 diversi siti di produzione situati tra la Campania e l’Emilia Romagna, il Pastificio Di Martino produce 8 milioni di porzioni di pasta al giorno ed esporta il 93% della sua produzione in oltre 48 paesi. Grazie alla sua vicinanza al mare, l’azienda ha sempre avuto una vocazione speciale per le esportazioni, come testimonia il passaggio della prima pasta Di Martino attraverso il Canale di Panama nel 1915
E Di Martino da anni è operativo negli Usa, tra spaghetti e altre specialità di pasta che sono presenti sul mercato statunitense. “Abbiamo una filiale commerciale negli Stati Uniti che è la Di Martino Inc., che ci rappresenta nella distribuzione dei nostri prodotti in tutto il Nord America. L’export verso il nord America per noi equivale a quasi 25 milioni di euro, su un fatturato di 170 milioni. E’ una zona strategica per gli investimenti dell’azienda”, sottolinea.
E l’imprenditore campano ricorda che “è da più di trent’anni che la pasta paga dazio nell’importazione negli Stati Uniti”. “E la pasta italiana – prosegue – rappresenta solo il 5% della pasta consumata negli Usa. L’unica pasta italiana che riesce a passare negli Usa è quella di alta gamma, di alta qualità, che è più difficile che sia prodotta negli Stati Uniti. Paste come la Gragnano Igp, e anche altre che hanno un blasone, un brand, che gli permette di penetrare nel mercato americano”. Di Martino negli States non ha limitato la sua attività imprenditoriale solo alla commercializzazione della pasta. “Abbiamo anche un’attività ristorativa a New York -sottolinea- che porta ottimi risultati ed è amato dai nostri clienti newyorkesi”. E Di Martino ribadisce che “per noi il mercato statunitense è strategico, e credo che i rapporti commerciali tra i due Paesi non avranno ripercussioni, continueranno a essere intensi e proficui. La pasta è già sottoposta a dazio, non ci possono essere iniziative nuove”, sottolinea.
In particolare secondo l’imprenditore campano, “noi imprenditori italiani che facciamo investimenti importanti negli Stati Uniti, paghiamo tasse e creiamo ricchezza siamo i benvenuti per Trump, non credo che ci vedrà come nemici, più come contributori del Pil americano. La Di Martino Inc., ma anche il ristorante che conta una cinquantina di dipendenti, è sicuramente un’attività che va in favore di una migliore economia americana. Noi vediamo strategicamente gli Stati Uniti come un mercato di sviluppo per i prossimi 5-6 anni. E’ un mercato per noi sempre più importante e ci investiremo sempre di più”, ribadisce ancora Di Martino.
E in conclusione per Di Martino “l’azione di protezione dell’economia statunitense da parte di Trump è più rivolta verso i paesi sudamericani in via di sviluppo, verso la Cina. Non penso che ci saranno grosse problematiche verso i prodotti italiani”, sottolinea.”Credo che ci sia una problematica di una maggiore attenzione di Trump verso l’America stessa, rispetto a un multilateralismo precedente”, conclude.
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