Una vettura Audi in catena di montaggio – .
L’ennesimo calo (9,1%) delle immatricolazioni di ottobre (126.488 le autovetture nuove acquistate in Italia, contro le 139.078 dello stesso mese dell’anno precedente) oltre a confermare la crisi cronica del comparto, sembra indicare il sostanziale fallimento della politica degli incentivi. Lo strumento varato nel 2022 sotto forma di ecobonus per rilanciare l’automotive aveva una dotazione iniziale di 8,7 miliardi di euro, e quest’anno è stata già ridotta a circa 5,75 miliardi (750 milioni per il 2025 e 1 miliardo l’anno dal 2026 al 2030). Gli aiuti statali destinati alla fascia da 0 a 20 g/km di emissioni (quelli per le auto 100 % elettriche) sono stati “bruciati” in sole nove ore il giorno stesso dell’apertura della piattaforma. Esauriti da alcuni giorni anche i fondi per le auto nuove con emissioni di CO2 comprese fra 61 e 135 g/km, (cioè per vetture a benzina, diesel, Gpl e ibride), ora delle risorse messe a disposizione dal 3 giugno scorso, restano disponibili per più della metà solo quelli per la fascia da 21 a 60 g/km, in cui rientrano le ibride Plug-in.
Senza incentivi, il tracollo sarebbe stato ancora più pesante, specie per quanto riguarda le vetture elettriche, oggi solo al 4% del totale delle vendite e, completamente dipendenti dalla presenza dei bonus. Ma complessivamente l’operazione non ha di fatto rianimato il mercato e ora dovrebbe subire un nuovo ridimensionamento. Questo almeno è, a oggi, l’orientamento del governo che ha deciso di decurtare di oltre 4,6 miliardi di euro sui 5,8 previsti in origine il fondo destinato alle misure a sostegno della riconversione della filiera. La Manovra Finanziaria per il 2025, in fase di definizione, dovrebbe avere un impatto pesantissimo sul Fondo Automotive, con la non remota prospettiva di veder annullati gli incentivi l’anno prossimo.
Questo scenario è considerato devastante da parte degli operatori del settore. Secondo il presidente di Federauto, Massimo Artusi, «il governo deve rapidamente definire una politica chiara perché il taglio di oltre 4 miliardi sull’Automotive offre una prospettiva di decrescita. Se non si vuole proseguire nella logica dei bonus, si investano le risorse in un piano triennale di riforma della fiscalità che avrebbe connotazioni fortemente positive per le piccole e medie imprese italiane e ricadute estremamente interessanti per gli acquisti di auto usate “fresche” da parte delle famiglie».
I sindacati dei metalmeccanici, Fim, Fiom e Uilm esprimono «profonda preoccupazione e ferma contrarietà per la decisione del governo. «In un momento in cui il comparto si trova in una fase di profonda trasformazione e crisi – sottolineano – risulta fondamentale un forte sostegno per garantire la competitività del settore, la difesa dell’occupazione e l’innovazione tecnologica, indispensabile per affrontare le sfide del futuro». Anfia, l’associazione che rappresenta la filiera industriale automobilistica nazionale, sottolinea invece come l’automotive rappresenti «il principale settore manifatturiero italiano», con oltre 270.000 addetti diretti e un fatturato di più 100 miliardi di euro, ma sia anche «l’unico a cui è richiesta una trasformazione obbligatoria epocale in pochi anni». Per Anfia, il taglio previsto dalla Legge di Bilancio «è un’inaccettabile fulmine a ciel sereno che contraddice clamorosamente l’importante attività che lo stesso governo sta svolgendo a favore del settore, e che annulla i mesi di intenso lavoro fatto dal Tavolo Sviluppo Automotive». Secondo Roberto Vavassori, presidente di Anfia «è assolutamente da ripristinare il fondo automotive pluriennale, le cui risorse sono ossigeno indispensabile per la nostra filiera. Chiediamo quindi che, a partire dal prossimo incontro convocato al Mimit per il 14 novembre, si metta mano all’agenda programmatica per il settore già approvata nei mesi scorsi».
Ma la prospettiva del taglio dei fondi all’automotive non è vista come una potenziale sciagura da parte di alcuni analisti del settore. Secondo Salvatore Saladino, Country Manager di Dataforce Italia, «stiamo parlando dell’80% di risorse in meno per l’auto che ha un disperato bisogno di aiuto, ma quello che non condivido è che questo aiuto venga chiesto sotto forma di sussidi per affrontare la sfida della transizione, senza mai mettere in discussione la “madre” del disastro che stiamo affrontando, cioè la stessa transizione ecologica così come impostata dalle regole Ue. Sono quindi favorevole a questo segnale forte, e bene ha fatto il governo a spostare risorse dove c’è mercato, togliendole dove il mercato non risponde, dopo aver buttato altre centinaia di milioni di euro in incentivi senza realizzare alcuna crescita, anzi, col rischio di chiudere l’anno con un segno meno». Secondo Saladino, anzi, «scossoni come questo sono utili a dare la sveglia a tutti, in modo che si capisca che il mondo non sta andando nella direzione dei virtuosissimi ecologici voluti dal governo europeo ma in quello di guerre economiche e territoriali che rischiano di distruggere i valori che ci hanno portato a creare un benessere invidiato dal resto del mondo».
Per Michele Crisci, presidente di Volvo Italia e di Unrae, l’associazione delle case estere nel nostro Paese, «emerge con chiarezza la necessità di non tagliare il fondo automotive, ma anche di una revisione della fiscalità delle auto aziendali per accelerare la diffusione dei veicoli a zero emissioni. È necessario – continua Crisci – modulare la detraibilità Iva e la deducibilità dei costi in funzione delle emissioni di CO2, e ridurre il periodo di ammortamento a tre anni. Il più veloce ricambio delle flotte garantirebbe un’offerta più ampia di veicoli ecologici a prezzi inferiori, favorendo il rinnovo del parco circolante con mezzi più virtuosi in termini ambientali e anche di sicurezza stradale».
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