La manovra ha deluso il mondo delle assicurazioni. A differenza di quanto avvenuto per le banche, il contributo straordinario richiesto alle compagnie non è stato né concordato né sarà temporaneo. Il dialogo è partito tardi e ora il settore propone soluzioni. Il disappunto si è palesato in tutta la sua forza nel corso delle audizioni sulla legge di Bilancio. L’industria assicurativa “ha sempre rappresentato un pilastro di stabilità e supporto per il Paese, sostenendo cittadini e imprese nei momenti di difficoltà e contribuendo a rendere realizzabili le decisioni di politica economica con impegno e responsabilità. Davvero facciamo fatica a comprendere perché il nostro sia stato il settore maggiormente impattato dal ddl in esame”, è andata dritta al punto, anche con veemenza, Maria Bianca Farina, presidente dell’Ania, la Confindustria delle assicurazioni.
Non va giù lo sforzo per finanziare la manovra richiesto dal ministero dell’Economia alle assicurazioni. Per le compagne è questione di metodo e merito. Mentre con il mondo del credito, che alla fine contribuirà attraverso il posticipo di alcune agevolazioni fiscali, la trattativa su come definire il contributo è partita non appena in estate sono iniziate a circolare ipotesi di prelievi sugli extraprofitti, le assicurazioni hanno potuto dire la loro soltanto a giochi fatti, quando il testo della manovra era già chiuso. E così l’amara sorpresa.
Le compagnie sono chiamate a contribuire attraverso l’anticipazione dell’imposta di bollo dovuta dai clienti per le polizze vita di ramo III e V. Un anticipo di liquidità di cui le compagnie si possono rivalere nel futuro allorquando le polizze andranno a scadenza o saranno riscattate. Ma sono i dettagli a non piacere al comparto anche perché comportano costi.
Il difetto è far pagare a qualcuno, le compagnie, una tassa, ossia il bollo del due per mille, dovuta da qualcun altro (nella specie, gli assicurati).
Questo avviene in due modi. Uno per il passato e uno per il futuro. Per il passato la cifra da versare è di poco meno di 1,9 miliardi (come da cifre riportate nella relazione tecnica al ddl di bilancio) spalmati su quattro anni, di cui 970 milioni da girare allo stato nel solo 2025. Il valore è riferito alle imposte di bollo maturate fino al 2024 e riferite alle polizze in essere a quella data. L’Ania stima che il valore possa essere anche più alto, 2,5 miliardi, con un contributo per il prossimo anno che potrebbe raggiungere oltre 1,2 miliardi. Su questo punto della norma nulla da ridire. Le assicurazioni sono disposte ad accollarsi lo sforzo e pagare anche più di quanto ipotizzato nella relazione tecnica stilata dal ministero dell’Economia.
Il problema si pone per un’altra parte della norma quella che prevede che dal prossimo anno l’imposta debba essere pagata annualmente dalle assicurazioni.
Oggi il bollo si paga soltanto al momento della scadenza della polizza o del riscatto. Di solito si parla di polizze con una durata di otto anni (stime del governo), nove secondo i conti delle compagnie. Quindi (cifre puramente indicative) fatto 5.000 quanto dovrà andare alla fine al sottoscrittore e 10 quanto pagare di bollo per ogni anno, arrivato il momento di saldare la compagnia girerà all’assicurato 4.910 (fatta salva la tassazione, ai fini IRPEF, degli eventuali rendimenti).
Con la norma in manovra il meccanismo cambia. I dieci dovranno essere versati di anno in anno dalla compagnia all’Erario e quest’ultima rientrerà della somma soltanto al momento della scadenza della polizza, quando pagherà all’assicurato sempre 4.910. Con questo schema però i dieci diventano un credito infruttifero che l’assicurazione ha nei confronti del sottoscrittore e un debito di quest’ultimo, con le relative conseguenze in termini di indici di solvibilità della compagnia e mancanza di interessi.
La questione per Ania non deve essere vista rapportata al singolo assicurato, ma al complesso dei clienti. “A meno che le compagnie non interrompano l’offerta di questi prodotti avranno sempre un credito infruttifero nei confronti degli assicurati che con le attuali cifre è di 2,5 miliardi”, spiega Farina, “Se poi il business dovesse crescere del 10% l’anno come avvenuto negli ultimi dieci anni il debito degli assicurati e il nostro corrispondente credito arriverebbe nel 2034 a superare i 5 miliardi e rimarrebbe tale fino alla chiusura della commercializzazione di questi prodotti”.
La soluzione prospettata, se il governo non deciderà di cancellare la norma e mantenere soltanto la parte sul pregresso maturato al 2024, è di permettere alle compagnie di scalare la cifra dalle cosiddette riserve matematiche, ossia dall’importo che deve essere accantonato dalle compagnie per far fronte agli obblighi futuri assunti verso gli assicurati, riducendo la quota o il valore che spetta all’assicurato. L’alternativa, però praticamente impossibile, sarebbe richiedere un conto corrente dedicato da cui prelevare l’importo del bollo come accade per i fondi o per i depositi bancari, ma non tutte le compagnie sono banca-assicurazioni.
In questo modo però il contributo andrebbe a ricadere sui clienti. Un’eventualità che né le opposizioni né i partiti di maggioranza vogliono. Lo spiega una fonte delle forze che sostengono il governo, sarebbe come porgere il fianco a chi ci accusa di non voler chiedere sforzi a chi ha fatto utili.
Gli appelli dell’Ania potrebbero quindi restare lettera morta e restare una nuova penalizzazione per il settore. Non l’unica. Lamenta infatti Farina: le limitazioni alle detrazioni contenute nella legge di bilancio colpiscono in modo non giustificato anche le polizze assicurative per caso morte, invalidità permanente, long term care e contro il rischio di eventi calamitosi sulle abitazioni. “Questo giro di vite sugli incentivi, peraltro già modesti, considerati i tetti attuali dei premi detraibili dall’Irpef – ha detto – non è giustificato dato che colpisce sia le coperture degli individui con finalità previdenziali assistenziali, in presenza di un sistema di welfare che avrebbe invece bisogno di essere rafforzato, sia gli incentivi per la protezione del patrimonio abitativo, sempre più vulnerabile agli eventi climatici estremi, come tristemente confermato da episodi recentissimi”.
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