La giovane originaria di Gioia del Colle (Bari) è specializzanda a Ginevra. «Stavo per entrare nell’Esercito, fui prima alla Nunziatella. Poi ho scelto Medicina. Da noi buona preparazione, ma stipendi troppo bassi»
«Non tornerò più in Italia». Beatrice Annunziata Milano, 24 anni, originaria di Gioia del Colle (Bari), vive a Ginevra, dove è specializzanda in psichiatria e ricercatrice in neuroscienze.
Nata e cresciuta in Puglia, ha scelto di vivere all’estero e non vuole saperne di rimettere piede oltre il confine svizzero. «Perché? Perché in Italia il mondo della ricerca non funziona come all’estero – dice -. Va a una velocità diversa, molto più lenta. E, per tutto il grande lavoro che comporta, non viene abbastanza pagato. In Italia, in generale, gli stipendi sono molto bassi. In Svizzera, come specializzanda, guadagno 8.500 franchi lordi al mese, quindi 5.700 netti. Certo, a questi va sottratto un costo dell’affitto pari ad almeno 1200 franchi e un altrettanto oneroso costo della spesa: qui una pizza costa 30 franchi e in Puglia ovviamente molto meno. Ma comunque riesco a portare a casa uno stipendio pari a tre volte quello italiano».
Questo sarebbe già da solo un buon motivo per comprendere il movimento in uscita che porta alla «fuga di cervelli», cioè alla scelta da parte di tante eccellenze italiane di lasciare terra e famiglia per vivere e lavorare altrove. Ma c’è di più: «A questo si somma la voglia di fare nuove esperienze e di guardare il mondo – continua Beatrice -. Ho viaggiato tanto nei miei anni di studio. Mentre frequentavo l’università a Pisa ho avuto modo di fare un Erasmus in Francia. E poi di trascorrere anche un periodo a Londra e negli Stati Uniti, a San Francisco e ad Harvard. Avendo a che fare con tutte queste realtà ho capito che in Italia non è più possibile tornare a vivere. Nemmeno in futuro».
Beatrice, però, non contesta la preparazione che le università italiane offrono. Piuttosto, a suo avviso, la carenza dell’accademia italiana sta nella ricerca, dai pochi fondi che questa ha a disposizione fino ai bassi stipendi dei dottorandi. «L’università italiana offre una grande preparazione – specifica -. E lo stesso vale per la scuola superiore. Basti pensare che, in Italia, si può studiare il latino e il greco. Confrontandomi con miei coetanei provenienti da diverse parti del mondo, infatti, ho notato che l’italiano medio ha una cultura superiore a quella degli studenti di altri paesi. Ma il problema sta nelle condizioni della ricerca. I bassi finanziamenti comportano, per esempio, l’assenza di strumentazione nei laboratori. E ovviamente bassi stipendi per i ricercatori».
Beatrice ha studiato Medicina. Ma la sua formazione, da giovanissima, è cominciata in un contesto militare. A soli 15 anni, infatti, lei ha deciso di lasciare la sua città per fare la sua prima esperienza fuori regione: «Mi sentivo stretta nel mio piccolo paese – racconta -. Avevo necessità di evadere. Così ho fatto un concorso nell’esercito, alla Nunziatella di Napoli. Nessuno credeva che potessi farcela. Invece sono arrivata prima. In tutta Italia. La seconda donna in 228 anni dall’esistenza della scuola a classificarsi prima nel concorso».
Questa determinazione non l’ha mai abbandonata. Anche quando ha deciso di cambiare strada e dire addio alla carriera militare, rassegnando le dimissioni. «Mi sono resa conto che non era quella la mia strada – aggiunge -. Volevo studiare e diventare ricercatrice. Mi sono preparata per i test di ammissione alla facoltà di Medicina. Anche in questa occasione in pochi credevano in me. Eppure sono arrivata prima al concorso per la Scuola superiore Sant’Anna, collegio che mi ha garantito una borsa di studio per gli anni universitari e per esperienze di ricerca. Mia nonna Annunziata era una stacanovista, forse ho preso da lei. Ma ognuno ha i suoi tempi e ogni percorso è diverso dall’altro».
Così Beatrice ha vinto una borsa di studio che le ha permesso di mantenersi nei suoi anni universitari. E ha fatto il primo passo del suo percorso accademico, che ora la vede a Ginevra, all’ospedale universitario. «Ho continuato a credere nel mio sogno grazie alla borsa di studio e all’aiuto di un amico, Carlo Maria Rosati, oggi cardiochirurgo negli Stati Uniti – conclude -. Sono una neuroscienziata computazionale. Studio le alterazioni strutturali e funzionali in pazienti con disordini da uso di sostanze. Utilizzo matlab e faccio tanta programmazione. Sono inoltre molto vicina al rapporto tra ricerca e industria, in particolare quella delle brain stimulation: per approfondire questo ho fatto la scorsa estate un internship per l’azienda tedesca Precisis. Per me la ricerca è una forma d’arte. È il mio modo per esprimermi, come se suonassi uno strumento musicale. La ricerca è la chiave del progresso, l’unico modo per fare passi avanti nella storia. Si lavora tanto ma questa è la mia passione. Che, allo stato attuale, non posso portare avanti in Italia. In futuro? Voglio continuare in questo campo. E chissà, magari avrò un’idea tutta mia e aprirò una startup».
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