Tutti quelli che nelle ultime ore hanno accolto l’elezione di Donald Trump a guida degli Stati Uniti con grida di paura e di terrore per il futuro prossimo del mondo, non ha ben compreso probabilmente ciò che i cittadini statunitensi hanno richiesto dietro le urne. Il netto calo dei democratici in tutti gli Stati (non ce n’è neppure uno in cui la Harris ha preso più voti di Biden nel 2020) dice che gli americani hanno di fatto ripudiato i quattro anni di governo dem, preferendo una politica più vicina al popolo, come successo in Europa alle ultime elezioni comunitarie di giugno scorso: vince la realpolitik, quella che ascolta i bisogni della gente comune e cerca di porre rimedio ai suoi problemi. E i tanti che si stracciano le vesti dicono che è populismo. Ma se populismo vuol dire fare gli interessi dei cittadini, allora preferiremo sempre destre, conservatori e repubblicani a chi invece fa politica nei salotti. Una lezione per i progressisti mondiali: non servono gli endorsement di grandi star, non serve la propaganda di grandi giornali o gli allarmi lanciati da intellettuali o pensatori. Niente è più forte della democrazia e di un popolo che vota liberamente.
Ha vinto il pragmatismo
Ha vinto dunque la politica reale e sa riconoscerlo solo chi non è chiuso da barriere ideologiche. “Negli Stati Uniti, come in Italia due anni fa, ha vinto il Paese reale” ha detto all’Ansa Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, aggiungendo che “hanno vinto le persone comuni che chiedono sicurezza e contrasto all’immigrazione illegale di massa, che sono preoccupate per il lavoro e per il futuro e cercano risposte ai problemi concreti”. Pragmatismo, dunque. Il resto del mondo ha attualmente le armi per surclassare l’Occidente, economicamente parlando: non ha vincoli statali, ha costi bassi e sfrutta le materie prime a pieno e troppo spesso in maniera da stigmatizzare. E noi, qui in Occidente, in Europa come negli Stati Uniti, costretti per mesi a un’inflazione dilagante e a un’economia rallentata da vincoli anti-produzione. Il Paese del business e del mercato libero e aperto non poteva sopportarlo e ha lanciato un chiaro segnale: la transizione ecologica, così com’è stata impostata, ha fallito. La concorrenza sleale degli altri Stati ci stava uccidendo e serve un cambio di passo. E il grande dono di Trump è averlo capito e aver promesso un ritorno a otto anni fa, a prima della pandemia. Tirando a sé, checché se ne dica, il più grande produttore di auto elettriche al mondo.
Trump ha parlato alla pancia del Paese. Ha indicato dei valori chiari da seguire in cui gli americani credono. Non c’è woke che tenga: il femminismo radicale e le rivendicazioni Lgbt hanno stufato. Il finto perbenismo, il buonismo pure. I latinos e i neri hanno votato in massa per il tycoon, così come pure gli under 30. Negli Usa, si può dire, hanno perso green e woke, ha perso la politica lontana dalle persone. Ha vinto il pragmatismo. E chissà se l’Europa, che pure ha ricevuto queste indicazioni alle ultime elezioni, riuscirà una volta per tutte a recepirle.
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