Egoyan, un grande regista al Matera Film Festival: «Avevo 28 anni, Moravia parlò di me e fu la svolta» #finsubito prestito immediato – richiedi informazioni –

Al sesto giorno il regista armeno naturalizzato canadese ha mostrato un aspetto più nascosto della sua anima di artista. Nella sala del CineTeatro Guerrieri che ha registrato il tutto esaurito, Atom Egoyan, Presidente di giuria della quinta edizione del Matera Film Festival, ha messo in evidenza (anche) le sue doti di insegnante a qualche ora dall’anteprima nazionale del suo nuovo film Seven Veils. A colloquio con il direttore artistico Donato Santeramo ha raccontato la differenza che corre fra dirigere un’opera teatrale e la creazione di riprese per un film. «Mentre su un set del cinema la macchina da presa dev’essere nel posto giusto e l’attore dev’essere perfetto una volta sola – e quella volta viene preservata – in teatro devo fornire all’attore un’informazione diversa: ha bisogno di capire cosa sta facendo in modo molto profondo perché ogni sera dovrà essere in grado non solo di replicarlo, ma di crescere con la rappresentazione stessa».

Parole che manifestano un grande amore per il cinema e il teatro, quelle del regista di Il dolce domani, Exotica, Ararat e The captive – Scomparsa, un artista che oltre ad avere una carriera costellata di prestigiosi riconoscimenti internazionali è stato anche Distinguished Professor all’Università di Toronto, dove ha insegnato a studenti di corsi avanzati (lo farà anche oggi, con una masterclass a Casa Cava, a Matera, insieme al regista Peter Greenaway nell’ambito del progetto Fall School) e che continua a insegnare in Svizzera e in master di specializzazione in giro per il mondo.
Il nuovo film di Egoyan ha avuto a Matera l’anteprima nazionale, con una brava Amanda Seyfried a fare da protagonista proprio nei panni di una regista teatrale alle prese con l’allestimento di Salomé, dall’opera originale di Richard Strauss basata sul testo di Oscar Wilde. «Quando era più giovane, Janine è stata apprendista di un regista che stava mettendo in scena l’opera. Capiamo col passare dei minuti che il famoso regista è stato ispirato da qualcosa accaduto nell’infanzia di Janine», prosegue Egoyan. «Così vediamo molti flashback di quando era giovane, e scopriamo che nel testamento del regista che è morto c’era espressamente la richiesta che fosse lei a rimontare la sua opera e l’intero film cerca di rispondere alla domanda se questo fatto sia un dono o una maledizione».

Perfetta nel ruolo di donna congelata nel trauma, Seyfried guarda un vecchio video della produzione originale e diventa ossessionata dall’energia erotica dell’opera, ma le risulta impossibile ricostruirla. «Il film si chiede se questa energia esista davvero o se sia solo nell’immaginazione della donna», continua Egoyan, «e ciò che mi affascina del personaggio è che conosce il trauma, lo ha condiviso con il regista, e tutti nella compagnia che dirige oggi sembrano sapere di questa sua esperienza dell’infanzia. Ma ciò che Janine non si aspettava è il trauma che riemerge nella sua vita proprio grazie alla ricostruzione che la obbliga a fare l’opera… Ma sto rivelando troppo, questo è il modo in cui lavoro con i miei attori!», sono le parole con cui Egoyan chiude il racconto del film e passa alla città di Matera e all’Italia, che sono stati centrali nella sua carriera. «Una società di distribuzione italiana ha acquistato il mio secondo lungometraggio che si chiamava Black Comedy, un film che avevo scritto e girato con un budget molto esiguo, più o meno centotrentamila euro. Un uomo meraviglioso che forse qualcuno qui conosce, Manfredi Traxler, lo ha distribuito con la sua Academy (è stata la prima società di distribuzione di film europei di qualità in Italia, fondata nel 1977; ndr). Penso che Manfredi conoscesse Alberto Moravia, perché un giorno un amico italiano, Tony Nardi, è venuto e mi ha detto, “Sai che c’è un articolo su L’Espresso che parla di te ed è firmato da Alberto Moravia?”. Lo leggeva in italiano e me lo traduceva, mentre piangevamo entrambi perché era un fatto semplicemente incredibile che questa figura mitologica prestasse attenzione a un ragazzo di 28 anni come me. Grazie ai suoi romanzi e agli adattamenti dei suoi film, per noi in Canada Moravia era come un dio».

Un riconoscimento così importante da parte dell’Italia, per un Egoyan agli esordi, spiega perché gli abbiano fatto girare da noi altri quattro lungometraggi, peregrinando fra Serrano, Volterra e Venezia. «I film della mia formazione sono stati quelli di Rossellini e Visconti, Fellini e Antonioni, Bertolucci e Bellocchio. E cito anche le opere di Lina Wertmüller e Liliana Cavani, a Toronto vedevamo tutti i loro film». Poi c’è Pasolini, forse il suo più importante mentore, «Teorema è stato il film che ha cambiato la mia vita». E prosegue, «per voi italiani è difficile rendervi conto, lo date per scontato, ma la tradizione da cui provenite è così profonda e così rara, per qualcuno come me che sta in Canada, un Paese giovane».

E si torna al teatro, o meglio al mix di cinema, musica e teatro che è Seven Veils. «Pirandello è un altro riferimento importante per me. Maschere nude è un’espressione che userei anch’io per il mio film, perché se da una parte nella trama ci rendiamo vulnerabili e aperti, allo stesso tempo siamo consapevoli del fatto che stiamo cercando di coprire qualcosa. E Pirandello è particolarmente interessante perché se tutti conoscono Sei personaggi in cerca d’autore, spesso dimenticano che la storia con cui i personaggi vanno in scena è una storia di incesto, una storia di famiglia che è stata fatta a pezzi da una terribile accusa. Anche Pirandello attinge quindi alla sua storia personale, un dettaglio che mi ha colpito non solo quando ho letto la commedia, ma quando ho approfondito la sua biografia». E dal premio Nobel per la letteratura (nel 1934), Egoyan passa all’opera. «Fra gli scrittori che mi hanno influenzato devo nominare anche Lorenzo Da Ponte, che ha collaborato con Mozart alle sue tre grandi opere e che è una personalità straordinaria del teatro. Ho curato una produzione del Così fan tutte, con un suo brillante libretto, e ora che li nomino entrambi non posso pensare a due persone più diverse fra loro come lo sono stati Pirandello e Da Ponte».

Il maestro canadese torna su altri dettagli interessanti anche per gli addetti ai lavori, raccontando Seven Veils. «Nel film vedrete attori di cinema che lavorano insieme a cantanti d’opera che non hanno mai girato un film. C’è questa strana energia perché un cantante d’opera, mentre canta, sa come recitare. Il problema è quando non canta, perché in quel momento non è sicuro di chi è e tu regista devi essere in grado di colmare questo vuoto, devi fare da ponte». Collaboratore di Egoyan dai tempi di Exotica è il musicista e compositore Mychael Danna, uno dei pionieri nella combinazione di influenze musicali non-occidentali con musica orchestrale ed elettronica nelle colonne sonore di film, per cui ha vinto molti Oscar anche per pellicole di Hollywood. «Ho un rapporto molto speciale con lui e vedrete come la musica di Richard Strauss abbia un’impronta diversa nella colonna sonora di Seven Veils, per esempio grazie all’uso di un vibrafono, uno dei pochi strumenti che il musicista austriaco non usa nella sua orchestrazione. Cercavamo qualcosa di diverso e Mychael lo ha scelto per il tema che torna in tutto il film».

Egoyan è riuscito anche a ottenere i diritti di Everybody Knows, di Leonard Cohen, per il suo film. «È una canzone grandiosa perché parla di conoscenza collettiva, eppure resta misteriosa e si collega al tema centrale di questo film, dove c’è un evento di cui tutti sono a conoscenza, ma di cui nessuno parla, il trauma represso del film, che è divertente, ironico, ma anche piuttosto profondo».
Egoyan torna quindi il maestro da ascoltare attentamente. «Ogni artista dovrebbe avere un budget sufficiente che gli consenta, in quanto artista, di apportare i cambiamenti che vuole fino all’ultimo, senza che nessuno intorno a lui vada nel panico e si preoccupi». Poi passa al successo, che per lui è sopravvalutato. «Puoi cercare di costruire un’opera al meglio, ma questo non significa che funzionerà. Un artista deve anche accettare il fatto che c’è un elemento di rischio. Tengo a dirlo ai giovani, “Va bene fallire, va bene non avere completamente successo…”. Diamo molta importanza al successo, ma anche il fallimento è importante, perché spinge a sperimentare, a provare. Devi essere resiliente e capire che non sempre funzionerà quando ci sono tanti elementi in ballo, specialmente se non stai usando una formula».
Scroscio di applausi e consegna del Premio d’onore Matera Film Festival da parte del Presidente del Festival Dario Toma.