Nel 2024, il sistema fiscale italiano continua a pesare sulle piccole e medie imprese. Mentre le multinazionali riescono spesso a pagare una percentuale molto ridotta dei loro utili grazie a strategie fiscali e alla possibilità di trasferire utili in giurisdizioni con tassazione favorevole, le Pmi si trovano a dover sostenere una pressione fiscale elevata, che in molti casi ostacola la loro crescita e la loro competitività sul mercato globale. Vediamo meglio:
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Qual è la pressione fiscale sulle Pmi nel 2024 -
Le richieste di riforma fiscale
Qual è la pressione fiscale sulle Pmi nel 2024
Nel 2024, le Pmi italiane pagano in media circa il 50% dei loro utili in tasse, un livello elevato rispetto alla media dei Paesi europei e dell’Ocse. Questa pressione fiscale comprende l’Ires, l’Irap, contributi previdenziali e altre imposte locali e regionali che rendono il carico fiscale complessivo oneroso. In base ai dati della CGIA di Mestre, il sistema fiscale italiano appare penalizzante per le Pmi, che rappresentano oltre il 90% delle aziende italiane e una parte rilevante del prodotto interno lordo.
Le Pmi generano circa il 65% dell’occupazione e contribuiscono per circa il 50% al Pil, ma spesso faticano a crescere a causa della burocrazia complessa e della pesantezza fiscale. Questa situazione rende difficile per molte di esse espandersi, investire in innovazione o accedere a mercati internazionali, con un impatto negativo sulla loro competitività complessiva.
Il confronto tra il carico fiscale delle Pmi e quello delle multinazionali evidenzia una serie di disparità. Le grandi aziende, in particolare quelle che operano nel settore tecnologico e digitale, riescono spesso a pagare una percentuale molto più bassa di imposte sui loro utili, grazie a strategie fiscali aggressive come il trasferimento degli utili in paesi a bassa tassazione.
Nel 2024, le multinazionali del web operanti in Italia, tra cui Amazon, Google e Meta, hanno pagato solo 206 milioni di euro di tasse complessive, nonostante fatturati multimiliardari. In confronto, le Pmi italiane hanno versato all’erario 24,6 miliardi di euro, una cifra 120 volte superiore rispetto a quella delle multinazionali.
Questo divario è stato oggetto di critiche e ha sollevato la questione dell’equità fiscale. Le multinazionali, sfruttando la loro presenza globale e la possibilità di scegliere in quali giurisdizioni pagare le tasse, riescono a ridurre al minimo il carico fiscale, lasciando le Pmi italiane a sostenere il peso maggiore delle entrate fiscali del Paese.
Il ruolo della Global Minimum Tax
Nel tentativo di affrontare queste disuguaglianze, l’Italia ha aderito alla proposta dell’Ocse di introdurre una Global Minimum Tax, un’imposta minima globale del 15% che si applicherà a tutte le multinazionali con un fatturato annuo superiore a 750 milioni di euro. Questo strumento, che entrerà in vigore nel 2024, mira a impedire alle multinazionali di eludere le tasse attraverso il trasferimento degli utili in paradisi fiscali. Secondo le stime, l’introduzione della GMT porterà solo 381 milioni di euro di entrate aggiuntive nel 2025, una cifra che, seppur rilevante, è ancora insufficiente per colmare il divario tra il contributo fiscale delle multinazionali e quello delle Pmi.
Le Pmi si trovano in una posizione di svantaggio rispetto alle multinazionali per diverse ragioni. Innanzitutto, non hanno la stessa capacità delle grandi imprese di ottimizzare la propria struttura fiscale, trasferendo utili o sfruttando le differenze tra le legislazioni fiscali dei vari Paesi. Le Pmi sono spesso soggette a una maggiore burocrazia e a costi amministrativi più elevati, che aggravano il loro onere fiscale. Le Pmi italiane hanno accesso limitato al credito rispetto alle grandi aziende, rendendo più difficile per loro finanziare investimenti o espandere le proprie attività.
Le multinazionali, d’altra parte, hanno accesso ai mercati finanziari internazionali e possono raccogliere capitali a costi molto più bassi. Inoltre, grazie alla loro struttura globale, possono usufruire di regimi fiscali più favorevoli in paesi come Lussemburgo, Irlanda o Paesi Bassi, riducendo l’aliquota effettiva che pagano sui loro profitti.
La disparità nel trattamento fiscale tra Pmi e multinazionali ha alimentato il dibattito sulla necessità di una riforma fiscale più equa. Molti esperti e associazioni di categoria, tra cui la CGIA di Mestre, chiedono da anni una riduzione della pressione fiscale sulle Pmi.
Si auspica un miglioramento dell’accesso al credito per le Pmi, che spesso faticano a ottenere finanziamenti bancari. La situazione è resa ancora più difficile dalla pratica dello split payment, che obbliga le Pmi che lavorano con la pubblica amministrazione a non incassare l’Iva, creando ulteriori problemi di liquidità.
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