Mancano pochi giorni al debutto di “Traffico”, il monologo di Sergio Blanco che in prima nazionale il 29 e 30 novembre alle ore 21 e l’1 dicembre alle ore 18, arriva sul palco del Teatro Fellini di Pontinia diretto da Stefano Furlan. È un testo molto forte, interpretato dall’attore Morris Sarra che solo in scena per oltre un’ora ci porta ai margini di una città dove la violenza si mescola con il desiderio e con la passione, l’avidità con la solitudine e il confine tra ciò che è finzione e ciò che è vero diventa veramente sottile.
Abbiamo intervistato il regista Stefano Furlan, chiamato alla sfida di portare per la prima volta nel nostro Paese un lavoro complesso e decisamente provocatorio.
«La cosa che veramente mi rende felice è che con Latitudine Teatro° e in collaborazione con il Fellini, siamo riusciti ad avere per due anni i diritti in esclusiva per l’Italia. Non è stato facile perché l’autore non è un personaggio ‘semplicissimo’ ma di fatto ha gradito il progetto che gli ho presentato».
Un autore, tra l’altro, in Italia ancora non tanto conosciuto?
«Da un paio di anni se ne parla grazie a una buona traduzione. Sergio Blanco è un drammaturgo e regista uruguaiano naturalizzato francese. Dai suoi lavori emerge il linguaggio dell’autofinzione che si integra con l’idea teatrale classica e arriva a confondere lo spettatore facendogli credere che ciò che sta vedendo non è spettacolo ma realtà. Il monologo di ‘Traffico’ è molto potente. Alex, il protagonista, è un giovane prostituto che ha avuto una relazione intensa con un cliente, ‘Il francese’, un uomo che lo porterà in un vortice di violenza. E che poi si scoprirà essere Sergio Blanco. Le domande si rincorrono. Ciò che mi sta dicendo l’attore è vero o è falso? Emerge anche qui, come è nella cifra stilistica di Blanco, quel rimandare continuamente ad altre sue opere all’interno di un proprio testo, e credetemi si tratta di un’operazione davvero interessante».
Lei ha avuto modo di conoscere Blanco personalmente?
«No, l’ho conosciuto perché ne sentivo parlare, e quindi ho preso subito i suoi testi. Nello specifico, il traduttore di ‘Traffico’ è un regista toscano, Angelo Savelli, con cui ho collaborato alcuni anni fa e quando mi ha parlato di questo lavoro ho detto subito sì».
‘Traffico’ è un monologo che non fa sconti.
«È il linguaggio di Blanco che non li fa, ma è incredibile il lavoro che l’autore compie sul protagonista, un ragazzo che ha compiuto veramente atti crudeli eppure alla fine non si riesce ad odiarlo. La scrittura è talmente profonda che ti entra dentro. No, non si riesce a odiare Alex, che è solo un gigantesco ingenuo cresciuto con l’idea di fare i soldi. Mentre lo ascolti si capisce quanta solitudine c’è in lui e come sia fragile la sua identità. Nell’evolversi del monologo accade però qualcosa, sembra quasi che Alex riesca finalmente ad avere una percezione di ciò che gli è successo».
Un ruolo non facile, affidato a Morris Sarra unico attore sul palco.
«Morris mi aveva detto mesi fa che gli sarebbe piaciuto interpretare un monologo con la mia regia. Usciva da ‘Suburraeterna’, e quando ho iniziato a lavorare su ‘Traffico’ ho pensato a lui. Gli offrivo il ruolo di un altro cattivo ma con uno spessore più grande. Morris inizialmente è rimasto perplesso. C’era troppa crudeltà, ma il testo gli ha lavorato dentro e così ha accettato. È bravissimo, lo vedrete. Si muove in una coreografia quasi inesistente, essenziale come da volere di Blanco che ci ha concesso solo l’uso di una moto sportiva, la moto regalata ad Alex dal ‘francese’. Ad Alex, che in realtà vuole molto di più».
Un monologo della durata di un’ora e venti in un’atmosfera di forte impatto, impreziosita dall’uso sapiente delle luci (light designer Gianluca Cappelletti, costumista Anna Coluccia). Alla prima nazionale sarà presente il traduttore Savelli, Blanco invece non potrà esserci impegnato con un altro allestimento a Parigi.
Perché Stefano Furlan sceglie sempre testi così forti?
«Perché per me il teatro ha bisogno di raccontare ciò che è necessario. È così anche quando lavoro con i miei allievi. Ho bisogno che ci sia qualcosa da dire».
E che cosa ci dice Traffico?
«Che nulla è poi così definito. Prendi Alex, lui parla a chi è nato dall’altra parte del fiume. È molto bravo a raccontare bugie ma lo fa proprio per rassicurare… quell’altra parte del fiume. ‘Traffico’ è una critica al pregiudizio e tante altre cose ancora».
Ma che fine farà Alex, senza svelare più di quanto è possibile?
«Rimarrà schiacciato da questo suo essere, è ovvio, ma il finale diventa l’unico modo per continuare a vivere e per non sentire più il dolore che diventa fortissimo. Quel dolore che è stata la colonna sonora della sua cruda esistenza».
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