Vedere Joe Biden e Donald Trump insieme nello studio ovale, sullo sfondo la fiamma vivace del caminetto, la postura composta, nessun segno nel linguaggio dei loro corpi che contraddica il clima civile dell’incontro, è come vedere uno stralunato film di fantascienza. Rispetto alla realtà di una decina di giorni fa.
Sono fotogrammi che solo in apparenza raccontano una conversazione tra il presidente uscente e il presidente eletto. Raccontano la resa incondizionata di Biden al personaggio che Biden stesso e poi, più volte, Kamala Harris, avevano definito, fino a pochi giorni fa, «fascista».
Nell’incontro, Biden non aveva altro da offrire al nuovo padrone se non frasi e sorrisi di cortesia. Nessun lascito, nessuna politica da proseguire. Essendo stati sconfitti, i democratici, anche alla camera e al senato, l’opposizione si trova disarmata di fronte alla super maggioranza del fascista votato da quasi 76 milioni di elettori.
Un dimesso Biden, nell’incontro con l’ex avversario, era lo specchio del nuovo rapporto di forze determinato dal voto del 5 novembre.
È davvero difficile prendere sul serio l’affettata gravitas presidenziale esibita dal tycoon nello studio ovale, con Biden. La raffica di nomine “shocking”, una più sconcertante dell’altra, e degli annunci minacciosi che hanno preceduto e seguito l’incontro va oltre le più fosche previsioni.
Il Trump delle parolacce e degli insulti, delle smorfie e degli oltraggi, è ora un Trump inedito, silenziosamente all’opera.
I propositi annunciati in comizi infuocati non erano deliri per mobilitare la sua base e alimentare il suo culto, ma un piano preciso, che sta già mettendo in atto, «per dimostrare – scrive il New York Times – il suo dichiarato intento di sgretolare le norme di Washington», come già cercò di fare nella sua prima presidenza, ma stavolta con la forza di un mandato inequivocabile e con una rinnovata determinazione, sostenuta da accoliti come Elon Musk e Vivek Ramaswamy.
Le dodici nomine – tra ministri, consiglieri e capi di agenzie – già definiscono il quadro operativo che scatterà il primo giorno di presidenza Trump. Se il segno distintivo di molte di esse è il misto di fanatismo, incapacità, incompetenza e obbedienza cieca al capo, le ultime due – Musk e Ramaswamy alla guida del nuovo dipartimento per l’efficienza del governo – sono all’insegna del massacro della pubblica amministrazione e del potere federale.
I ministri del Trump 2
L’idea è sempre la solita, da Reagan in poi, dello stato come problema, non come soluzione, un corpaccione ingombrante da ridurre drasticamente, con tagli di spesa ed eliminazioni di personale, questa volta “venduto” come un progetto nuovo, “drastico”, e soprattutto guidato da due superiricchi, uno dei quali trilionario, che ha promesso di tagliare il budget federale di due trilioni di dollari. «Questo produrrà ondate di scossoni attraverso tutto il sistema, e su chiunque coinvolto nello spreco del governo». Un piano che, secondo Trump, dovrebbe compiersi in un paio d’anni, entro il 4 luglio 2026.
Nel frattempo il sistema giudiziario, agli ordini di Matt Gaetz, si mette al servizio diretto delle vendette verso gli avversari ripetutamente promesse da Trump in campagna elettorale. È una nomina che rappresenta anche un salto in più verso la realizzazione delle sue promesse, rispetto ad altre nomine. Oltre a essere sotto indagine perché accusato di aver avuto relazioni con una minorenne, è un estremista, che ha fatto cadere lo speaker del suo stesso partito perché troppo moderato.
Altro campo d’intervento immediato quello dei vertici militari, senza la cui collaborazione molti degli interventi radicali immaginati da Trump non sono realizzabili, innanzitutto l’impegno e lo spiegamento delle forze armate nel contrasto all’immigrazione e nelle vaste operazioni di rastrellamento e deportazione di milioni di persone.
Inoltre, il ruolo dei capi militari, in diversi tornanti pericolosi della presidenza Trump e in particolare nei giorni dell’insurrezione del 6 gennaio 2021, è stato decisivo nel bloccare il presidente eversore. Mark Milley, all’epoca capo degli stati maggiori riuniti, potrebbe essere costretto a lasciare il paese, per essersi opposto allora e per aver definito più volte Trump un pericoloso fascista.
La vendetta è in preparazione. L’attuale top general, l’afroamericano Charles Brown, è già in via d’uscita nei piani della star di Fox News, Pete Hegseth, nominato nuovo capo del Pentagono.
La politica internazionale resterà materia di gestione diretta del presidente, assistito da un team di pericolosi apprendisti, con al vertice l’americano d’origini cubane Marco Rubio, nuovo segretario di stato. Povera Cuba, è il primo pensiero apprendendo della sua nomina.
Un amalgama, si prevede, mal riuscito e inadeguato. Basterà la lealtà al capo per tenerli insieme? A tenerli uniti potrà essere la prospettiva di un terzo mandato, un’opzione messa chiaramente sul tavolo da Trump. Non è previsto dalla costituzione. Ma la costituzione potrà essere cambiata dalla nuova super majority. E da una corte suprema che presto rifletterà ancor di più il nuovo grande peso politico conquistato da Trump.
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