Il contratto a termine per attività stagionale non se la sta passando bene.
Al di là delle ipotesi tipiche disposte dall’ancora vigente DPR 1525/63 (che più di qualche volta si è paventato di ritoccare senza poi nulla di fatto) la costituzione di rapporti a termine per attività stagionali sta diventando un vero e proprio “tabù” del 2024, laddove molte associazioni di categoria, alla luce dell’orientamento della Corte di Cassazione già cominciato con la sentenza n. 9243 del 4 aprile 2024 e rimarcato dalla più recente ordinanza n. 16313 del 12 giugno 2024, suggeriscono di abbandonare la costituzione di rapporti per attività identificate come stagionali ai sensi della contrattazione collettiva (art. 21, c. 2, D.Lgs. 81/2015).
Ma non basta. La recente ordinanza della Cassazione del 23 settembre 2024 n. 25393, chiede che le prestazioni da eseguire e il carattere stagionale delle stesse debbano essere specificati nella causale (ebbene sì) dei contratti. Il tutto, al fine dell’accertamento delle circostanze che comproverebbero la sussistenza o meno della stagionalità.
Cerchiamo di fare chiarezza.
Il D.Lgs. 81/2015 e l’interpretazione della Cassazione
Sappiamo che il fondamento normativo della c.d. stagionalità contrattuale (diversa da quella legale di cui al già citato DPR del 1963) risiede nella contrattazione collettiva ex art. 51 D.Lgs. 81/2015 la quale può disporre delle “attività stagionali” ai sensi del secondo comma dell’art. 21 che recita “Le disposizioni di cui al presente comma non trovano applicazione nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali individuate con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi.”
Peraltro tale comma viene richiamato, quale esimente, in molti istituti quali:
- Mancato computo nel periodo massimo di 24 mesi (come specificamente disposto dal comma 2 art. 19 – Ministero del Lavoro, Int. n. 10244/2016),
- Mancato stop and go (art. 21, c. 1 e 2)
- Mancato contributo addizionale del 1,4% (art. 2, c. 29, lett. b) Legge 92/2012).
Con queste prerogative, la possibilità di concedere negozi a termine per attività stagionali fa certamente la differenza. Volendo, si dovrebbe considerare la stagionalità come una eccezione (ed in quanto tale, estremamente rigorosa) rispetto alle più stringenti norme sul tempo determinato “ordinario”.
Sarà per questo che la giurisprudenza di legittimità considera la stagionalità in modo estremamente rigoroso. Già l’anno scorso la Corte di Cassazione si è espressa con una sentenza molto particolare (Cass. n. 9243 del 4 aprile 2023) che, pacificamente, ha “motivato” l’attuale legislatore nell’approvazione di un emendamento (che vedrà luce sul DDL) proprio per “obbiettare” al ragionamento degli ermellini.
La sentenza in trattazione, come peraltro già ricordato in altri contributi, scinde:
- l’attività stagionale, aggiuntiva rispetto a quella normalmente svolta, la quale implica un collegamento diretto con la stagione;
- dalle fluttuazioni del mercato e gli incrementi di domanda (ovvero le intensificazioni) che si presentino ricorrenti in determinati periodi dell’anno rientrano nella nozione diversa delle c.d. punte di stagionalità che vedono un incremento della normale attività lavorativa connessa a maggiori flussi.
Quest’ultime rientrerebbero nei “casi” di apposizione di una condizione / causale per il tempo determinato (allorquando previste, ricordiamolo, dal contratto collettivo e, sino al 31 dicembre 2024, se rientranti in quelle esigenze tecniche produttive ancora individuabili tra le parti).
Tale tesi viene ribadita con l’ordinanza della Suprema Corte del 12 giugno 2024 n°16313, la quale incalza citando come “l’elenco delle attività stagionali di cui al D.P.R. n. 1525/1963 è da considerarsi tassativo e non suscettibile di interpretazione analogica, vincolo, questo, che si riflette anche sulla contrattazione collettiva di cui all’art. 5, comma 4-ter, D.Lgs. 368/2001, la quale deve, a propria volta, elencare in modo specifico le attività caratterizzate da stagionalità”.
La sentenza del 23 settembre 2024
Sotto un altro profilo, vediamo come la Cassazione insista nella specificità della stagionalità (peraltro sullo stesso “filone” di vertenze già oggetto della pronuncia del giugno 2024), da dedurre in modo analitico nel contratto individuale.
La sentenza in trattazione evidenzia alcuni passaggi di notevole importa:
- dapprima emerge come “nonostante le modifiche via via apportate alla disciplina dei contratti a tempo determinato, il concetto di attività stagionale deve essere inteso in senso rigoroso e quindi comprensivo delle sole “situazioni aziendali collegate ad attività stagionali in senso stretto, ossia ad attività preordinate ed organizzate per un espletamento temporaneo (limitato ad una stagione)”. Tali esigenze devono ritenersi “aggiuntive rispetto a quelle normalmente svolte dall’impresa, da ciò derivando che non solo grava sul datore di lavoro l’onere di dar prova del fatto che l’attività in concreto svolta dal lavoratore costituisca attività aggiuntiva rispetto a quella normalmente svolta e caratterizzata appunto, dalla stagionalità, ma anche è inibita al datore la possibilità di adibire il lavoratore assunto a termine a mansioni che esorbitino dall’ambito della lavorazione stagionale”;
- Non solo. Secondo la Corte “Tali conclusioni non possono trovare conforto neppure nell’affermazione per cui la naturale ciclicità temporale dell’attività agricola renderebbe il rapporto agricolo peculiare e giustificherebbe la possibilità di proroghe e/o rinnovi oltre il termine del triennio, dal momento che neppure la ciclicità dell’attività agricola consente eccezioni alla disciplina dei contratti a termine, dovendosi invece ritenere che i lavori adibiti stabilmente a mansioni che rispondono ad esigenze permanenti dell’attività stagionale debbano essere dipendenti a tempo indeterminato”.
Il tutto ha un significato preciso. Quandanche sussistesse la stagionalità, la stessa va citata espressamente e deve essere considerata una limitazione, per quanto alle attività effettivamente svolte (ovvero solo quelle “stagionali” e, in ogni caso, i compiti ed esigenze “permanenti” attraggano a sé il contratto indeterminato).
Il superficiale ricorso al contratto stagionale
Sia chiaro, la sentenza, nel caso di specie, si palesa come pacifica. Ma ciò non di meno chi scrive ha sempre notato in alcuni settori (turismo in “primis”) una certa (uso un eufemismo) superficialità del ricorso al contratto a carattere stagionale. Il tutto laddove, sia chiaro, nemmeno la contrattazione collettiva di “ruolo” (che sia Turismo o Pubblici esercizi) brilli di chiarezza o sostanza concreta.
Probabilmente si tratta di una vera e propria scelta del contratto collettivo che oggi resta comunque di difficile applicazione. Pensiamo ad una struttura alberghiera ad apertura annuale ma con una massificazione della clientela nel periodo da giugno a settembre. Si tratterà di “picco produttivo” (non potendo la struttura in trattazione definirsi stagionale in quanto rea di non avere le caratteristiche del DPR del 1963) o di stagionalità alla luce del contratto collettivo che, paradossalmente, confina “l’intensificazione stagionale e/o ciclica” nell’articolo rubricato “intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno”?
Certo che un po’ di chiarezza non guasterebbe.
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