Dopo i vari incidenti tecnici lo sciopero che ha rischiato di intaccare seriamente al produzione ed avere conseguenze su tutto il settore aereo, Boeing è passato ai licenziamenti. Il colosso aeronautico americano ha già annunciato circa 2.500 tagli al personale negli USA (per lo più tra stato di Washington, Oregon, Carolina del Sud e Missouri) a conferma di quanto già deciso ad ottobre e come preavviso di quanto arriverà a dicembre.
“Come annunciato in precedenza, stiamo adeguando il livello della nostra forza lavoro per allinearlo alla nostra realtà finanziaria e alle nostre nuove priorità”, ha detto il gruppo all’Afp. Una serie di licenziamenti che ha coinvolto anche il ramo ingegneristico e che quindi contraddice le parole del nuovo ceo di Boeing, Kelly Ortberg, secondo cui la società non intende “togliere personale dalla produzione o dai laboratori di ingegneria”.
A poco, quindi, sembra essere servito l’aumento di capitale dettato anche dalla reazione finanziaria allo sciopero dei 33mila macchinisti durato oltre sette settimane. A quanto pare quello di Boeing è un problema che deve fare i conti con un rallentamento per aumentati controlli di sicurezza e che, allo stesso tempo, deve combattere anche con eventi esogeni.
Ma Boeing non è la sola azienda di settore a trovarsi in difficoltà. Se da noi la telenovela Ita Lufthansa è arrivata (quasi) a conclusione (telenovela che trova ampi antefatti nella lunga e travagliata storia di Alitalia) gli esperti tremano per l’intero settore del trasporto aereo. Infatti stando alle loro analisi sarebbero chiari i segni di un rallentamento di quella forte espansione vista all’indomani del post pandemia ovvero quando la domanda repressa riuscì a creare una forte volontà di viaggiare.
In Europa Lufthansa, Air France e Ryanair hanno denunciato un rallentamento della domanda e negli USA le cose non vanno meglio. American e Southwest Airlines hanno confermato il rallentamento, Frontier Airlines denuncia difficoltà ma peggio è andata a Spirit Airlines, sesto operatore USA e simbolo dei voli low cost, che ha dichiarato fallimento. Una crisi che, a conti fatti, inizia poco prima del Covid, almeno per Spirit che dal 2019 non aveva registrato profitti, dal 2020 aveva perso circa 2,2 miliardi di dollari e ancora più recentemente ha dovuto assorbire il colo della mancata fusione con JetBlue. Risultato: oltre 9 miliardi di debiti, istanza di fallimento e intesa con i creditori per continuare ad operare nonostante il ricorso al Chapter 11.
Ad essere più a rischio, però, sembra essere il ramo low cost, o meglio, l’intero segmento ultra low cost oltreoceano che non riesce a reggere bene l’aumento dei costi, la concorrenza delle aziende cinesi (ormai onnipresenti anche in questo caso) e l’erosione del potere d’acquisto dei consumatori che, a causa dell’inflazione, stanno abbandonando l’idea di un viaggio anche a tariffa ridottissima.
Indubbiamente l’eccesso di offerta, soprattutto sulle principali rotte turistiche, gioca un ruolo importante. Infatti, parallelamente, si è assistito anche ad un calo delle tariffe nella speranza di riconquistare quella fascia di viaggiatori che, soprattutto nel post pandemia approfittando del capitale non speso nei lockdown, ha preferito puntare su operatori come Delta, United e American che potevano offrire maggiori servizi. Da qui un calo degli aerei in volo (e quindi di guadagni).Non ha certo aiutato l’aumento dei costi anche sul fronte stipendi che, ovviamente, sono stati adeguati, anche solo parzialmente, all’inflazione.
Ma la crisi, ad un’analisi più ampia, riguarda anche le infrastrutture che, di fronte all’aumento post pandemia, non hanno saputo reggere e che, negli anni successivi, non hanno beneficiato di alcun tipo di investimento. Molte società di gestione del traffico aereo hanno ridotto il personale durante la pandemia (addetti alle operazioni di check-in, sicurezza, gestione dei bagagli e imbarco) per poi riassumere personale il quale, però, ha avuto bisogno di una formazione che è di per sé lunga.
C’è, poi, anche il fattore Cina che ha deciso di rivaleggiare con i colossi Airbus e Boeing per rubare quote di mercato con lo sviluppo di nuovi aerei. Il costruttore cinese COMAC ha infatti deciso di guardare all’estero e, soprattutto, al mercato internazionale forte, anche, di quei sostegni statali che sono alla base della sempre più agguerrita battaglia sui dati tra Washington e Pechino ma anche tra Bruxelles e Pechino. Per questo motivo, presto, si proporrà come costruttore presumibilmente per veicoli destinati ad ogni segmento dell’aviazione commerciale. Per il momento, però, COMAC è concentrato sul territorio nazionale
FOTO: shutterstock
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