L’AQUILA – “Mi appello alla Regione Abruzzo, affinché sul modello di quello che già sta accadendo nel Lazio, approvi una legge che favorisca, con incentivi e detrazioni fiscali, lo smart working nei piccoli comuni, come risposta concreta al drammatico fenomeno del loro spopolamento e desertificazione che rischia di essere definitiva nel giro di qualche decennio. A beneficiarne sarebbero le imprese, i lavoratori, l’ambiente, la vivibilità delle grandi città, il benessere in generale”.
Portare il lavoro alle persone, e non più le persone al lavoro, per una nuova rivoluzione che se ben gestita e normata da un legislatore illuminato, può convenire a tutti: parte da questo assunto “Lo smart working, tra la libertà degli antichi e quella dei moderni”, edito da Rubbettino, ultima fatica saggistica di Francesco Maria Spanò, noto avvocato, calabrese di Gerace, direttore del personale della Luiss, e con un rapporto molto stretto, sentimentale e professionale con l’Abruzzo e L’Aquila. Testo, e tematica, già al centro di un incontro in Consiglio regionale d’Abruzzo, fortemente voluto dal presidente del Consiglio regionale, Lorenzo Sospiri, con relatori lo stesso Spanò e Antonio Naddeo, presidente dell’Aran, l’Agenzia italiana che rappresenta legalmente le Pubbliche Amministrazioni nella contrattazione collettiva nazionale.
Lo smart working, da non confondere con il telelavoro, che presuppone un collegamento a distanza fisso e costante, e non una prestazione incentrata sugli obiettivi, ed dunque più “agile”, flessibile ed autonoma, riguarda ormai in Italia 3,7 milioni di persone, sia nel privato che nel pubblico.
Un dato di fatto, contro cui velleitaria sarebbe una controrivoluzione dei nostalgici del lavoro in presenza, del modello concentrazionario della fabbrica novecentesca, del controllo fisico del dipendente, del pendolarismo. Ma ammonisce Spanò, che il fenomeno lo ha studiato a lungo, soprattutto, come nelle sue corde professionali, dal punto di vista giuridico, molti sono gli aspetti da considerare e le politiche da mettere in campo, per evitare le contraddizioni della prima rivoluzione industriale, che ha oberato le città e spopolato le campagne.
“Una legge del 2017 ha introdotto la possibilità di ricorrere al lavoro agile – spiega dunque Spanò -, previo accordo tra datore di lavoro e dipendente con apposito contratto. A fare esplodere il fenomeno dal 2020, e dunque la risposta normativa è stata però la pandemia del covid, e i lockdown con cui lo smart working non è diventato un’opportunità ma un obbligo per contenere i contagi e garantire il distanziamento fisico e sociale. Poi però terminato il lockdown si è tornati indietro anche su pressione di quelle categorie economiche penalizzate dalla diminuzione di mobilità e presenza quotidiana dei lavoratori, e lo smart working è rimasto solo per determinate categorie di lavoratori come disabili e le persone con figli”.
Ma a conferma che il diritto che va controcorrente rispetto a fenomeni sociali ed economici, rischia di diventare lettera morta, prosegue Spanò “si è arrivati a una contrattazione tra sindacati e datori di lavoro, che hanno stabilito gli accordi di secondo livello per la fruizione dello smart working, a cui hanno convintamente aderito moltissime imprese private ed anche pubbliche come ad esempio la Rai, l’Inps, la Banca d’Italia. Accordo per il quale ha avuto un ruolo da protagonista l’Aran che ha introdotto anche la possibilità della settimana corta, i quattro giorni a settimana a parità di orario di lavoro”.
Lo smart working dunque è ora sempre più diffuso e non più marginale o soluzione emergenziale.
Ma questo non basta, ammonisce Spanò, perché il vero obiettivo, la vera epocale opportunità da cogliere deve essere quella di far leva su di esso per un’autentica rivoluzione che consenta l’aumento demografico nei piccoli centri e nello stesso tempo la decongestione e la maggiore vivibilità delle metropoli.
Ed ecco che passaggio fondamentale deve essere l’approvazione del disegno di legge 2316, con primo firmatario il senatore del Pd Bruno Astorre, inviato alla presidenza del Senato, per incardinare l’iter nelle commissioni, a luglio 2023.
“Punto di svolta di questa legge, è che questa volta si prevedono incentivi per quei lavoratori che vanno in smart working in piccoli centri con meno di 5.000 abitanti, per almeno cinque anni consecutivi. Parliamo di incentivi fiscali e contributivi alle imprese che scelgono questa opportunità, e che avviano anche in tal senso progetti di riorganizzazione e riqualificazione degli spazi di impresa per favorire il lavoro condiviso. Agevolazioni fiscali e detrazioni ai Comuni, per favorire l’acquisto e il recupero di immobili abbandonati. Con una premialità per i nuclei familiari con un Isee inferiore ai 40.000 euro, per gli investimenti necessari a favore dello sviluppo tecnologico e la diffusione della rete a banda larga, per l’accesso dei servizi essenziali come trasporti, presidi sanitari, bankomat nei piccoli comuni”.
La Regione Lazio ha però anticipato i tempi, ed ora in commissione è stato avviato l’iter per una norma regionale molto simile, che ha anche aggiunto ai comuni sotto i 5mila abitanti anche quelli con popolazione superiore che hanno centri storici desertificati.
“Non è un caso che le imprese, in particolare nel settore delle assicurazioni, dell’informatica, della consulenza, dell’informazione, abbiano deciso di utilizzare lo smart working. Lo dicono i loro bilanci, con grandi risparmi nella locazione degli uffici e delle sedi, nei costi di gestione e manutenzione. Il fenomeno è già studiato e accertato. Inoltre elemento fondante del successo aziendale è la motivazione e il benessere del dipendente, ed una maggiore libertà, indipendenza e autonomia va in questa direzione, che poi si riverbera sulla produttività e il senso di appartenenza”.
Da parte del lavoratore invece, spiega Spanò, “il vantaggio è evidentemente una maggiore disponibilità di tempo, quello ad esempio risparmiato, e con esso tanta energia e anche denaro, per recarsi fisicamente quotidianamente nel luogo di lavoro, tenuto conto del traffico che affligge le metropoli, e che rappresenta un potente fattore di stress e malessere. C’è una emancipazione dal timbro, in entrata e in uscita, nello smart working, nel senso autentico del termine, ovvero di lavoro agile, quello che conta è l’obiettivo, non le ore in cui si sta dentro un ufficio, occorre garantire un determinato risultato, entro una determinata data e sta poi al lavoratore organizzarsi in libertà e questo è un grande vantaggio per conciliare i tempi di vita da quelli del lavoro, e si pensi cosa questo significhi per chi ha figli piccoli o persone anziane da accudire. L’importante è però garantire, a livello contrattuale, il diritto alla disconnessione, e alla non reperibilità. In nessun caso lo smart working deve diventare uno strumento per eludere i diritti e contravvenire all’orario di lavoro stabilito. Ma del resto questo è già garantito dalle leggi, anche a livello europeo, e confermato da diverse sentenze della Cassazione”.
In ogni svolta epocale ci sono però contraddizioni di cui tener conto. In un capitolo del libro si illustra lo sconvolgimento che nell’ottocento la rivoluzione industriale determinò in Inghilterra, con Londra che vide moltiplicare la popolazione in pochi anni, e i sobborghi dove gli operai venivano ammassati in condizioni ai limiti della vivibilità, mentre i centri di campagna subirono lo spopolamento e la crisi sociale ed economica.
“In quartieri di New York, Londra ma ora anche di Milano e Roma dove un numero importante di aziende imprese hanno scelto lo smart working, si è registrata una crisi dei piccoli esercizi commerciali, della ristorazione e dei bar, ed anche del mercato immobiliare, tenuto conto che molte società hanno disdetto l’affitto delle loro sedi e uffici, o le hanno notevolmente ridimensionate. Di contro però è diminuito il traffico e l’inquinamento atmosferico a beneficio degli stessi abitanti di quei quartieri. Sta dunque al legislatore trovare le soluzioni ottimali, gestire il processo. Occorre sostenere insomma anche chi viene danneggiato da questo fenomeno. Si può però immaginare che gli immobili, prima destinati a uffici, possano essere riconvertiti a residenziali, e questo potrebbe consentire un calmieramento del costo degli affitti, con l’aumento dell’offerta. E sappiamo bene che problema sia diventato in tante città il costo delle locazioni che sempre meno persone, anche quelle del ceto medio, non si possono più permettere. Potrebbero essere poi realizzati studentati, o anche ostelli, che rappresentano una risposta al proliferare senza controllo, in particolare nelle città d’arte, degli airbnb, con il fenomeno dell’over tourism, che sta espellendo i cittadini nelle estreme periferie, a favore dei turisti mordi e fuggi nei centri storici. Le città e i loro quartieri possono e devono essere ripensati. Meno uffici non significa affatto che si arrivi ad un declino e ad una desertificazione. Una cosa è certa, lo smart working è una realtà, e sarà sempre più in crescita, indietro non si può tornare”.
RIPRODUZIONE RISERVATA
Download in PDF©
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link
Informativa sui diritti di autore
La legge sul diritto d’autore art. 70 consente l’utilizzazione libera del materiale laddove ricorrano determinate condizioni: la citazione o riproduzione di brani o parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi qualora siano effettuati per uso di critica, discussione, insegnamento o ricerca scientifica entro i limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera citata o riprodotta.
Vuoi richiedere la rimozione dell’articolo?
Clicca qui
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link
Informativa sui diritti di autore
La legge sul diritto d’autore art. 70 consente l’utilizzazione libera del materiale laddove ricorrano determinate condizioni: la citazione o riproduzione di brani o parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi qualora siano effettuati per uso di critica, discussione, insegnamento o ricerca scientifica entro i limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera citata o riprodotta.
Vuoi richiedere la rimozione dell’articolo?
Clicca qui