Immaginate un mondo che sia lo specchio di un altro. Ma con un effetto deformante che amplifica i difetti, annulla i tratti minimi, ostenta la presunzione (fallace) di essere specchio, ma ha anche l’ambizione di proporsi come vetrina. E in questa vetrina non c’è il bello da vendere, ma la dignità da annientare.
Il carcere “Pietro Cerulli” di Trapani, con decine e decine di agenti penitenziari coinvolti in pestaggi e torture, è l’esempio di un Sottosopra che difficilmente potrà essere giustificato con le solite due paroline: mele marce. No, qui è un frutteto malato che non ha confini di decenza, figuriamoci di geografia, da Santa Maria Capua Vetere a San Gimignano, da Melfi a Biella e via picchiando. Il florilegio tragico di acqua e piscio, di manganelli e sputi non è una “specialità della casa” trapanese. Molto sappiamo grazie alle inchieste di magistrati determinati, molto altro non sappiamo grazie alla controinformazione di una politica che si alimenta di odio certificato: un post di partito sui social, una frase di un sottosegretario, un reel di un ministro. Frammenti di un’ostilità di rimbalzo nei confronti dei più deboli – neri, tossicodipendenti, stranieri senza parola – che molto assomiglia a una strana forma di violenza preventiva.
A rendere ancora più oltraggiosa tutta questa messinscena, in una terra come la Sicilia dove la più immonda panzana è quella della mafia paciosa, del boss redento e così sia, c’è la contestuale scarcerazione di boss e killer di “buona condotta”. Insomma in quelle stesse carceri in cui detenuti men che qualunque – neri, tossicodipendenti, stranieri senza parola, sempre loro – vengono massacrati da delinquenti in divisa, ci sono detenuti “illustri” che non vengono sfiorati (si sospetta che alcuni abbiano addirittura un ruolo nella regia delle violenze) e che magari vengono pure premiati per questa magica convergenza astrale: del resto è più facile fare il primo della classe se nessuno ti prende a calci in faccia.
C’è una bellissima frase di Adriano Sofri che ci afferra per i capelli e ci costringe a guardare in faccia tutto questo scempio con gli occhi forzatamente sgranati come il “drugo” Alex di “Arancia Meccanica”: il carcere non è ancora la morte, benché non sia più la vita. Oggi sappiamo che nel buio del Sottosopra, quella di Sofri è comunque una visione ottimistica.
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