Il rilancio della sanità territoriale era uno degli obiettivi principali del Pnrr. I miliardi europei avrebbero dovuto finanziare la realizzazione delle Case di comunità, strutture sociosanitarie aperte h 24 sette giorni su sette in cui riunire diversi servizi di cure primarie: infermieri, medici di famiglia, pediatri, specialisti, diagnostica di base e servizi sociali. Finora, delle 1.420 previste dal Pnrr entro il 2026 ne sono state realizzate solo 413, secondo un monitoraggio interno dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali rivelato dal Sole24 Ore. Sulla carta, la regione più avanti di tutte è la Lombardia, che dichiara l’avvenuta attivazione di circa 130 Case di comunità, cioè i due terzi di quelle previste per la scadenza. Ma anche nella regione guidata dal leghista Attilio Fontana le cose non stanno così.
Lo rivelano le cifre contenute in un rapporto della sezione lombarda della Corte dei Conti. Delle 125 Case di comunità dichiarate «attive» dalla Lombardia, ben 85 sono prive del medico di base e in 112 manca il pediatra. In appena 73 è presente la guardia medica. Solo 28 sono aperte ventiquattr’ore su sette giorni come prevede la legge che ne fissa gli standard, il decreto ministeriale 77 del 2022 firmato dall’allora ministro Roberto Speranza. Senza questi requisiti, le Case di comunità non possono alleggerire i pronto soccorso ospedalieri a cui si rivolgono anche pazienti non gravi o cronici, visto che gli studi medici di famiglia sono aperti solo tre ore al giorno. Era uno degli obiettivi della missione «Salute» del Pnrr.
In sostanza, la regione sembra essersi limitata a cambiare la denominazione dei poliambulatori esistenti trasformandoli in «Case di comunità» sulla carta, senza dotarli dei servizi previsti. Anche il tentativo di rendere più accessibile la medicina specialistica e la diagnostica per accorciare le liste di attesa sembra poco riuscito. Circa un quarto delle Case di comunità non ha il «punto prelievi» né gli ambulatori specialistici previsti per legge. Gli infermieri ci sono in quasi tutte le strutture, così come il collegamento con i servizi sociali. Spesso, però, si limitano al consultorio familiare. A questo quadro desolante si aggiunge il fatto che molte Case di comunità lombarde nel prossimo futuro dovranno ridurre le prestazioni per i necessari lavori di ristrutturazione.
Il rapporto della Corte svela i nodi che frenano il Pnrr. Il primo è la carenza di personale: la regione, si legge nel rapporto, ha ricevuto 95 milioni di euro extra Pnrr per assumere i necessari professionisti. Eppure, scrivono i magistrati contabili, all’esame dei fatti «non emergeva con sufficiente chiarezza il collegamento tra i trasferimenti statali ricevuti, gli impegni di spesa e i pagamenti per ciascuno dei diversi profili del personale impiegato nelle strutture della rete di assistenza sanitaria territoriale». In sostanza, non è chiaro dove siano finiti i soldi ricevuti dalla regione per assumere medici e infermieri. In secondo luogo, la riforma fatica a prendere il via per la riluttanza dei medici di base a lasciare il proprio studio per lavorare nelle Case di comunità.
Per ovviare al problema senza inimicarsi la potente corporazione dei medici di famiglia, la Lombardia ha adottato un concetto originale di Casa di comunità «diffusa», che consentirebbe ai medici di lavorare all’esterno delle nuove strutture. Ma la Corte esprime «preoccupazione» perché «l’intervento del Pnrr è finalizzato alla realizzazione di edifici facilmente riconoscibili nel territorio dove concentrare i presidi medici». Le conclusioni della Corte dei Conti non lasciano margini di interpretazione: «Per garantire la piena operatività, e dunque il raggiungimento del target del Pnrr entro la fine del 2026 – si legge nella relazione – occorre che la regione si impegni con stanziamenti pluriennali vincolati alle assunzioni per il personale dedicato all’assistenza territoriale».
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