Stefano Masala scompare tra il 7 e l’8 maggio 2015 da Nule, piccolo comune di poco più di mille residenti, in provincia di Sassari. Iniziano le ricerche, ma del 30enne non c’è traccia. Il 9 maggio alcuni cittadini segnalano una colonna di fumo nero a circa venti chilometri da Nule. A bruciare è l’utilitaria di Marco Masala, il padre di Stefano che la sera del 7 maggio aveva preso l’auto per andare a una festa, ma non aveva fatto ritorno a casa. Secondo gli inquirenti sarebbe stato ucciso, il suo corpo bruciato e poi sotterrato. Il cadavere non è stato mai ritrovato.
Un omicidio figlio di una vicenda iniziata di cinque mesi prima. E’ dicembre 2014 quando a Orune, durante la festa Cortes Apertas, esplode una rissa. Paolo Enrico Pinna, un ragazzo di 17 anni, rivolge pesanti apprezzamenti a una ragazza, senza sapere che è la fidanzata di Gianluca Monni. Quest’ultimo scatena la lite, Pinna tira fuori una pistola, ma viene disarmato. La rivalità va avanti settimane dopo settimane quando l’8 maggio mentre è alla fermata in attesa dell’autobus per andare a scuola, Gianluca Monni viene raggiunto da colpi di arma da fuoco sparati da un’auto in corsa e viene ucciso. La macchina è quella di Masala. La sera prima era stato attirato in una trappola e ammazzato da Paolo Enrico Pinna e dal cugino Alberto Cubeddu. Poi la vettura viene utilizzata dai due per l’agguato mortale a Monni.
L’auto in corsa, però, viene filmata dalle telecamere del Comune e si risale al proprietario. Scattano le indagini che alla fine portano all’identificazione di Pinna e Cubeddu: secondo l’accusa sono loro ad aver usato l’auto di Masala per andare a Orune e uccidere Monni. Il processo arriva fino alla Cassazione e i due vengono condannati per la morte di Monni, ma anche per quella di Stefano Masala e per la distruzione del suo cadavere.
Considerato che nei giorni del duplice omicidio Pinna era ancora minorenne, viene condannato a soli 20 anni di carcere. Il cugino Cubeddu all’ergastolo. Marco Masala, padre di Stefano, un anno dopo perde anche la moglie. A distanza di anni cerca ancora il cadavere del figlio: “E’ l’unica cosa che mi fa restare vivo – ha spiegato in una intervista a La Nuova Sardegna – Tutte le notti penso a lui e a mia moglie, uccisa dal dolore. Le avevo promesso che avrei continuato a cercarlo per riportarlo a casa”. Ma oltre al dolore ora teme anche la beffa. “So che prima o poi otterranno i benefici di legge e torneranno in libertà. Il fine pena mai c’è per me e la mia famiglia, non per loro“. Il caso viene ripercorso a Un giorno in pretura, sabato 23 novembre, su Rai 3.
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