COMUNANZA – L’associazione ribadisce la necessità di un intervento tempestivo per tutelare i posti di lavoro dei dipendenti e di tutte le maestranze attive nel settore degli elettrodomestici, in un processo produttivo che in buona parte coinvolge fornitori esterni all’azienda
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La chiusura annunciata dalla Beko a Comunanza mette a rischio non solo i 320 posti di lavoro attivi nello stabilimento, ma anche le migliaia di operatori che ogni giorno mettono la propria professionalità al servizio di un distretto industriale da salvaguardare a ogni costo.
A puntualizzarlo è la Cna di Ascoli Piceno, che ribadisce la necessità di un intervento tempestivo per tutelare i posti di lavoro dei dipendenti e di tutte le maestranze attive nel settore degli elettrodomestici, in un processo produttivo che in buona parte coinvolge fornitori esterni all’azienda.
Si tratta, come ricordato dall’associazione picena, di centinaia di piccole e medie imprese attive non solo a Comunanza, ma anche in tutta la Valdaso, ad Ascoli, lungo la Vallata del Tronto fino ad arrivare a San Benedetto e alla costa, che ognuna per la propria parte contribuiscono alla realizzazione e al trasporto dei componenti da assemblare all’interno dello stabilimento produttivo Beko.
Un discorso che si amplia inevitabilmente, oltre che alle realtà imprenditoriali dell’indotto interno, a tutte le imprese attive sul territorio nel settore dei servizi, della ristorazione, del commercio e dell’accoglienza e, a cascata, di tutti gli altri comparti, che ad oggi consentono a un Comune di 3.000 abitanti di contare su un bacino d’utenza giornaliero di 10.000 visitatori e che in caso di chiusura rischierebbero di abbassare la serranda una volta per tutte, dopo aver già vissuto sulla propria pelle il dramma del sisma e del progressivo spopolamento.
In ballo, in altri termini, c’è il destino dell’intera area montana che, in pieno programma NextAppennino, da qui a pochi mesi vedrebbe vanificato ogni sforzo per ricostruire un tessuto sociale ed economico duramente colpito dal terremoto e definitivamente distrutto dallo smantellamento di un distretto industriale in grado di garantire lavoro ed economia a un entroterra che continua a soffrire.
«È necessario fare fronte comune e mettere in campo ogni azione utile per scongiurare una chiusura che comprometterebbe non solo le prospettive dell’imprenditoria di Comunanza, ma di tutti i comuni del Cratere e, ampliando l’orizzonte all’indotto, all’intera provincia di Ascoli – commenta Antonio Scipioni, vicepresidente Cna Ascoli Piceno per l’area montana – A risentirne saranno anche i servizi, che ad oggi beneficiano di un flusso di professionisti, imprenditori, tecnici, manutentori e operatori di ogni genere che lavorano con e per Beko e il distretto di Comunanza.
La volontà di chiudere lo stabilimento è il campanello d’allarme dell’ennesima criticità che il territorio montano si trova a fronteggiare, un territorio che per invertire la tendenza avrebbe bisogno di vedere applicato un differenziale contributivo e fiscale che possa agevolare gli investimenti e dare un senso alla ricostruzione materiale, dando nuova linfa alle iniziative imprenditoriali e a chi vuole continuare a vivere appieno questi territorio.
Al di là di ogni schieramento, le istituzioni hanno il compito di individuare una soluzione definitiva applicando delle misure straordinarie e ad ampio raggio per tutto l’entroterra, creando i presupposti affinché Beko e altre realtà imprenditoriali rivalutino un investimento a Comunanza come produttivo».
La notizia di un’imminente chiusura dello stabilimento arriva, peraltro, al termine di un sofferto percorso che dal 2007, quando il 70% degli elettrodomestici era prodotto in Italia, ha assistito a una progressiva delocalizzazione che ha drasticamente ridotto il peso specifico del territorio su scala internazionale.
A questo proposito, dal punto di vista della Cna di Ascoli Piceno l’impatto potenzialmente devastante della chiusura dello stabilimento di Comunanza non può essere paragonato allo smantellamento delle altre sedi italiane di Beko come a Siena o nella provincia di Varese, dove insistono delle realtà industriali in grado, a differenza del Piceno, di sopperire alla delocalizzazione.
Per questa ragione, diventa fondamentale facilitare l’applicazione della Zona Logistica Semplificata (Zls) e mettendo in campo agevolazioni e semplificazioni per rendere il territorio competitivo per chi fa impresa, che possano da un lato convincere i vertici di Beko a restare sul territorio e, dall’altro, attirare nuove iniziative imprenditoriali in grado di sfruttare l’esperienza e il valore aggiunto garantito dalle maestranze picene.
«In casi come questo si rischia di sottovalutare il peso economico di un indotto che, nella sola Comunanza, è in grado di stimolare attività commerciali come bar, ristoranti, negozi e servizi – conferma Luigi Passaretti, presidente del Form.Art. Marche – Migliaia di persone lavorano o transitano da Comunanza, alimentando un flusso economico di cui beneficiano imprenditori e famiglie.
L’economia locale risentirebbe gravemente della chiusura di uno stabilimento che, negli anni, ha trovato terreno fertile sul territorio grazie a delle maestranze preparate e qualificate nell’ambito di un tessuto artigianale diffuso, con metodo di lavoro e mentalità produttiva ben consolidati. Oltre a trattenere lo stabilimento e tutti gli investimenti che porta con sé, dovremo partecipare attivamente a un percorso di ricambio generazionale che dia ai più giovani tutti gli strumenti per mettersi in gioco nel mercato del lavoro, in una sfida che tuttavia non può prescindere dalla permanenza di Beko nel distretto di Comunanza».
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