Tresoldi: «Ho chiesto: io faccio disegni, potrei, secondo te, vendere questa attività? Non ho avuto il coraggio di leggere la risposta»
«Quando mi è arrivato il secondo sfratto sa cos’ho fatto? Con un giovanotto che viene a darmi una mano con l’e-commerce sono andata al computer e ho scritto… a quell’app che ti risponde a tutto». Intende ChatGpt?. «Sì, quella. Ho chiesto: io faccio disegni, potrei, secondo te, vendere questa attività?». E cosa le ha suggerito?. «Non ho avuto il coraggio di leggere la risposta».
A Lodi Franchina Tresoldi, 83 anni, una delle artiste più conosciute per le sue opere realizzate con le tecniche dell’acquaforte e dell’acquatinta, è un’istituzione. Amata e stimata da tutti, la sua casa-laboratorio in via Gabba, a meno di una trentina di metri da piazza della Vittoria, è un presidio dell’arte lodigiana da 52 anni, quando iniziò la sua attività prima in casa e poi nei due laboratori affittati nella stessa palazzina. Luoghi su cui ora pendono ben due sfratti: il primo sull’abitazione e l’altro sul laboratorio, entrambi al primo piano del palazzo storico. I proprietari dell’intero immobile, già lo scorso anno, alla scadenza del contratto di locazione della casa dove abita Tresoldi con il suo compagno, le hanno chiesto di lasciare l’abitazione. Una decisione ingiusta, a suo parere, e che l’ha convinta a portare la battaglia in tribunale (la seconda udienza è fissata a metà dicembre). A questo poi si è aggiunta, da qualche giorno, una seconda lettera, per informarla che dovrà liberare entro la fine del 2025 anche il suo amato laboratorio/studio, l’altro spazio, oltre a quello più piccolo al piano terra (per il quale non è arrivata nessuna richiesta dai proprietari), dove l’artista passa gran parte delle sue giornate. «È stato un colpo al cuore ricevere quelle comunicazioni — racconta —. Dove potrei andare alla mia età? E allora mi sono fatta coraggio: non voglio andarmene da via Gabba».
Una volta aperta la porta d’ingresso del laboratorio al primo piano, è semplice venire attratti da un mondo fatto di oggetti e colori. Tresoldi si muove in questi spazi con grande leggerezza, accarezzando le sue opere con grande amore. L’artista lodigiana, nonostante qualche piccolo acciacco, non ha mai fermato la produzione: ogni giorno continua a sfornare le sue opere con il forno elettrico che usa per cuocere le ceramiche a mille gradi. Tutto quello che sa, assicura, lo ha imparato quasi da autodidatta. Da ragazza ha frequentato la Scuola per artisti pubblicitari di Milano e l’Accademia Raffaello per la calcografia di Urbino. Ma la sua vera ricerca parte, tra gli anni ‘60 e ‘70, con lo studio delle città e le riproduzioni di piazze, chiese, monumenti anche sui ciottoli in ceramica che riproduce da quelli veri presi vicino al fiume Adda, mediante il colaggio dell’argilla in stampi di gesso.
«All’inizio lavoravo in casa — racconta —. Poi, da una trentina d’anni ho spostato parte dell’attività al piano terra, dove realizzo le incisioni di lastre con i disegni delle città da me viste e fotografate da tetti, campanili e piccoli aerei, e che poi stampo con un torchio manuale. Al primo piano, invece, mi dedico alla ceramica e lo utilizzo come studio». Tante le esposizioni seguite da Tresoldi, come la produzione nella seconda metà degli anni ’90 del «Ciottolo di Città» e in seguito del «Ciottolo del Parco». «Sono progetti che mi hanno portato a collaborare con numerosi bookshop di musei italiani», sottolinea. Un patrimonio artistico e culturale che Franchina Tresoldi non è disposta a cancellare. «Non so cosa vorranno fare di questo palazzo storico — sottolinea —. Ma di una cosa sono sicura: voglio lottare. Devo difendere la mia arte che rischia di scomparire».
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