Il 17 novembre agli open day richiamò i genitori al loro compito di educatori: «Lo sfogo? Non era preparato»
Tina Gesmundo è la preside del liceo Salvemini di Bari salita agli onori delle cronache per il suo discorso ai genitori durante l’«Open Day» dell’istituto, il 17 novembre scorso.
Nell’auditorium della scuola, davanti a 400 persone, ha chiarito senza giri di parole di non essere lì per vendere un detersivo. E ha punto nel vivo i genitori, accusandoli di sovrapporre i propri desideri a quelli dei figli, incoraggiandoli a inseguire soltanto soldi e successo.
La storia è finita su tutti i giornali, lei è stata invitata perfino da Lilli Gruber a «Otto e mezzo». E adesso che sono scaduti i suoi quindici minuti di celebrità, ragiona su cosa ha scatenato tutta quell’attenzione. Info di servizio: ha 64 anni, si sente «professoressa dentro», ha cominciato a 24 come insegnante di greco e latino e dopo 23 anni ha intrapreso la carriera di dirigente. Suo marito è un ex docente di filosofia, sua figlia insegna storia dell’arte.
Gesmundo, cosa le è saltato in mente quella domenica?
«Non mi ero preparata niente. Ero solo irritata dal comportamento di tanti genitori, che giravano per la scuola come se dovessero comprare qualcosa. Così non mi sono più trattenuta e ho fatto un discorso iperbolico con prossemica vivace».
Era un’iperbole il riferimento alle richieste di raccomandazioni?
«La nostra scuola è diventata un po’ di moda e sono stata costretta a mettere il numero chiuso, perché non abbiamo abbastanza aule. A marzo si sono iscritti 420 studenti e ne ho potuti prendere 360. Le pressioni le ho ricevute da persone in posizioni di potere per far entrare qualcuno, mai per intervenire nei voti. E in ogni caso non sono servite».
Ha parlato di ragazzi iperprotetti.
«In classe ci troviamo anche con 7-8-9 studenti con diagnosi certificate che vanno dall’ansia alla disgrafia. C’è un iper protezionismo che non li aiuta a crescere, perché alcuni problemi si risolvono da soli, quando si raggiunge una maggiore consapevolezza di sé».
In questi giorni da chi ha ricevuto messaggi di solidarietà?
«I più belli sono stati quelli dei miei ex alunni che oggi sono medici, avvocati, giudici o anche persone semplici: sono orgogliosi di avermi avuta come insegnante. Se mi avessero dato un assegno in bianco non sarei stata altrettanto contenta».
E i suoi colleghi si sono fatti sentire?
«Pochissimi. Mi sarei aspettata una maggiore solidarietà, ma la competizione ormai è diventata pervasiva».
Si considera una donna di sinistra?
«Sono orgogliosamente di sinistra, ma non la sinistra radical chic».
E se le proponessero di entrare in politica?
«Non lo faranno mai. Sono scomoda».
È mai entrata in crisi, come insegnante o dirigente?
«Come docente, mai: ho sempre voluto insegnare. Come dirigente ho attraversato un momento difficile qualche anno fa, quando presi una decisione impopolare, nella quale sono stata lasciata sola».
Cosa successe?
«Sospesi un ragazzo in seguito a un’occupazione notturna di una minoranza, che aveva smentito il processo democratico interno alla scuola. Io non credo nell’occupazione, peraltro in un liceo di periferia pericolosissima. Fui bersagliata dai media, ma ne sono uscita più forte».
È vero che agli studenti sospesi fa fare i lavori socialmente utili?
«Le sospensioni hanno sempre l’obbligo di frequenza e in più i ragazzi devono mettere in ordine i tappeti della palestra, spolverare i libri, pulire gli scaffali, aiutare gli altri. Serve a fargli capire che fanno parte di una comunità, insegna ad avere cura degli altri».
I genitori si sono mai lamentati?
«No, nessuno. Riconosco di essere una persona divisiva, ma le famiglie nella maggior parte dei casi si fidano di me. E quando non gli va bene una cosa, chiedono il nulla osta e vanno in un’altra scuola senza nemmeno salutare. Questo è un segnale doloroso per me».
Quante volte è successo negli ultimi due anni?
«Parecchie».
Questo è il suo ultimo anno nella scuola. Poi andrà in pensione. Progetti?
«Con la laurea ho 45 anni di contributi, dunque devo smettere per forza. Mi darò al sociale, alla cura degli ultimi con l’associazione Libera e al volontariato contro la violenza sulle donne. Voglio anche fare corsi di greco antico per chi non ha potuto studiarlo. E, infine, continuerò con il teatro per i ragazzi: lo faccio da più di 20 anni, credo che sia terapeutico».
Il libro che non può mancare nella formazione di uno studente?
«L’amico ritrovato di Fred Uhlman e i classici come Dickens. Mentre tra i più moderni, direi Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino».
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