Inferno transizione elettrica, pensata malissimo dall’Ue: i licenziamenti presso i fornitori europei superano i 50.000 nel 2024. È fattuale. Qui si ha poco da avere opinioni. La realtà sono i numeri, i dati drammatici, con gli ex dipendenti a spasso e non ricollocabili. Lavoreranno nell’elettrico? No. Vedi Northvolt, produttore di batterie, che taglia a più non posso. È che le Case automobilistiche europee affrontano una concorrenza sempre più agguerrita da parte delle aziende cinesi, più una domanda in calo di veicoli elettrici.
Così, i fornitori di primo livello ne risentono. Nel 2024 l’industria europea dell’automotive ha subìto una contrazione del 3,5% nella produzione. Secondo un report Moody’s, la strategia dei concorrenti della componentistica in Europa peserebbe oltre 4 miliardi. Di cui: 2,5 miliardi di costi straordinari; più 1,8 miliardi di tagli dei costi nel programma di razionalizzazione. Tra le imprese di componentistica auto, si prevede una riduzione tra i 27mila e i 30mila posti entro il 2028.
Quindi, l’auto elettrica non si vende, le commissioni delle Case ai fornitori scendono: questi tagliano personale. Una spirale orribile, con effetti devastanti anche a livello sociale.
Nomi altisonanti
Bosch, ZF, Forvia, Valeo e altri fornitori europei sono i protagonisti della tragedia elettrica. Stanno tagliando posti di lavoro e chiudendo fabbriche mentre la filiera dell’automotive subisce un cambiamento radicale.L’errore di Bruxelles è stato quello di gettarsi nella mischia BEV imponendo questa tecnologia meravigliosa senza proteggerla: colonnine tipo Tesla Supercharger, incentivi a domanda e offerta, scudo per gli occupati diretti e per l’indotto. La Cina ci strapazza, regina totale e assoluta delle batterie e della filiera dell’elettrico.
Valeo, Forvia, Schaeffler e Continental hanno registrato in Cina, nel terzo trimestre 2024, una riduzione dei profitti tra il 6% e il 13,5%. Contro il -2,6% della produzione locale di auto. In aggiunta, i fornitori europei sostengono costi crescenti per la ricerca e lo sviluppo: si deve mantenere il passo in settori come l’automazione e la guida autonoma.
Il caso Fonderie di Fabio Zanardi
“L’11 dicembre ci fermiamo per un mese, per poi riprendere nel 2025: al momento lavoriamo al 55-60% della capacità”. Così le Fonderie di Fabio Zanardi, 215 addetti. Momento buio come nel 2009, nel pieno della crisi Lehman Brothers. Nel terzo trimestre c’è un netto peggioramento per il settore, che in termini di output, nelle rilevazioni dell’associazione di categoria Assofond, presieduta dallo stesso Zanardi, segna un -13,7%. Analogamente anche i ricavi flettono a doppia cifra: -12 punti su base annua, di quasi 18 nel confronto con il periodo precedente. “Chi lavora per l’automotive – dice Zanardi – aveva potuto beneficiare di una domanda tutto sommato accettabile, mentre le fonderie che realizzano prodotti per meccanica, macchine agricole, movimento terra ed edilizia hanno visto acuirsi una crisi già evidente nei mesi precedenti, con cali vicini o superiori al 30%. Dall’ultimo trimestre anche il settore automotive è entrato in una fase di forte crisi e sta impattando sui volumi. Finora il 2024 vede per il settore una flessione media del 10%, ma il dato di fine anno sarà decisamente peggiore”.
Non c’è luce in fondo al tunnel
Il guaio è che non c’è luce in fondo al tunnel. Una volta fatti i tagli, i fornitori saranno competitivi? Nessuno sa dirlo. Qualcosa di analogo per i Gruppi auto. In particolare, zero certezze su VW: almeno tre fabbriche da chiudere? E quanti dipendenti, 30 mila? Solo una cosa è sicura: i manager intendono decurtare del 10% gli stipendi. Obiettivo delle sforbiciate, o rianimare i profitti o restare in vita, secondo i casi.
Schaeffler, azienda con vari marchi che produce diversi componenti anche per auto licenzierà 4.700 dipendenti in Europa: “Una risposta al difficile contesto di mercato, alla crescente intensità della concorrenza globale e ai continui processi di trasformazione che interessano il settore della fornitura automobilistica”. D’altronde, se VW non commissiona lavori, il risultato è questo. Bosch non raggiungerà i suoi obiettivi finanziari, e taglierà (3.000 in meno). Per quanto riguarda ZF Friedrichshafen, sono 14.000 le posizioni a rischio entro il 2028. Continental vuole scorporare la sua unità di ricambi auto. Michelin: 1.200 esuberi e due stabilimenti da chiudere in Francia entro il 2026. Valeo: addio a 868 lavoratori. La Gerhardi Kunststofftechnik GmbH, azienda con 1.500 dipendenti e due secoli di attività, ha dichiarato fallimento. Idem la Johann Vitz GmbH. Tutto da capire cosa accadrà ai fornitori Stellantis, se il Gruppo dovesse continuare la sua discesa.
Dazi Trump, altri guai
Un dazio Usa del 20% sulle importazioni di veicoli leggeri dall’Ue e dal Regno Unito; più un dazio del 25% sulle importazioni dal Messico e dal Canada: ecco le tasse del presidente eletto Trump. Questo costerà alle Case automobilistiche europee e statunitensi interessate fino al 17% del loro margine operativo lordo annuale combinato nel peggiore dei casi. È quanto sottolinea S&P Global Ratings nel suo“Auto Industry Buckles Up For Trump’s Proposed Tariffs On Car Imports”. Particolarmente esposti a un potenziale aumento dei dazi sono Volvo e JLR, data la loro forte dipendenza dalla produzione europea. Ma anche GM e Stellantis a causa del volume di auto che assemblano in Messico e, in parte, in Canada. I rischi per BMW e Mercedes sono più contenuti, ha spiegato Lukas Paul, analista del credito di S&P Global Ratings. Con conseguenze sui fornitori.
Triplo schiaffo
Abbiamo tre batoste.
Uno: dazi Usa.
Due: una più severa regolamentazione delle emissioni di CO2 in Europa dal 2025.
Tre: la pressione sugli utili dovuta alla maggiore concorrenza in Cina e in Europa.
Di qui, il rischio di declassamento per le Case auto, con maggior pericolo di profit warning, meno commissioni ai fornitori. L’ultimo anello della catena la paga.
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