Il dolore del papà della ragazza di 26 anni, appena laureata in psicologia, falciata da un’auto a gran velocità mentre rientrava casa. «Deve pagare»
«Si era appena laureata in psicologia perché diceva che voleva aiutare il prossimo. Pensa un po’: la sua aspirazione era lavorare per l’assistenza e il recupero dei tossicodipendenti». Lo dice masticando rabbia e dolore il padre di Aurora D’Alessandro, la ragazza di 26 anni che tre giorni fa nei pressi dell’Aquila è stata travolta è uccisa da un’auto, un Suv Mercedes, lanciata a gran velocità mentre lei rientrava a casa. Per un gioco beffardo del caso alla guida dell’auto che l’ha uccisa c’era un giovane sotto effetto di sostanze stupefacenti.
«Sembra fatto apposta – si dispera papà Enrico- andava ad ooltre 120 all’ora, in una strada in cui c’è il limite dei 50. Mia figlia era con la sua utilitaria sulla sua corsia. In una semicurva lui ha perso il controllo della macchina, ha invaso la corsia opposta e l’ha centrata in pieno dal lato guidatore. Per Aurora non c’è stato scampo». Il giovane, che ha la stessa età della vittima, ora dovrà rispondere di omicidio stradale e sicuramente andrà incontro ad una pena durissima. Ma ciò non basta a placare la rabbia di Enrico D’Alessandro, 68 anni, ex macchinista di treni ora in piensione.
«Non si può morire in questo modo – ripete al Corriere- sulle strade ormai è una strage continua. Non si possono dare in mano a certa gente questi siluri che falciano pedoni o chi se ne sta tornando tranquillamente a casa. Si deve fare qualcosa di concreto per fermare questa carneficina sulle strade». E poi c’è lo strazio per la perdita di quella figlia che stava cominciando a realizzare i sogli della sua vita e per farlo affrontava tantissimi sacrifici. «Si era laureata a luglio – racconta papà Enrico- ed ora stava facendo il tirocinio per poter fare la psicologa. A differenza dei medici per chi vuol fare lo psicologo il tirocinio non è retribuito. E così per mantenersi la sera lavorava in un fast food. Piccoli lavoretti, dove questi ragazzi vengono sfruttati in modo assurdo, ma lei lo faceva perché voleva rendersi autonoma e continuare ad abitare da sola a L’Aquila dove aveva studiato, dove aveva tanti amici e dove si trovava bene. Quando c’è stato l’incidente, intorno a mezzanotte, stava proprio rientrando dal lavoro».
Una «ragazza molto sensibile ma estremamente responsabile» ricorda il padre che «aveva tutta la vita davanti». «Era stupenda, bellissima come una modella, rispettosa di tutti e con una grande attenzione verso il prossimo. Aveva un amore infinito per gli animali. Una figlia adorabile. Non può morire una creatura così». E poi c’era quel sogno di fare la psicologa. «Le piaceva più di ogni altra cosa. Io le dicevo di fare altro, ma lei non voleva sentirne. Insisteva nel ripetermi che voleva fare qualcosa di concreto per aiutare il prossimo. Ripeteva che voleva impegnarsi per il recupero dei tossicodipendenti. E io che le dicevo: “ma guarda che è una cosa complica. Pensaci bene”. Niente non voleva sentire ragioni».
Ora il padre e la famiglia di Aurora chiedono giustizia. «Vogliamo che chi l’ha uccisa paghi. Io per anni ho fatto il sindacalista, ho difeso i lavoratori e sono da sempre un uomo rispettoso dei diritti e della Costituzione, ma un dolore così forte ti fa vacillare tutte le certezze della tua vita e rischi di diventare pazzo».
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link