di Massimo Di Paolo – C’è un detto molto noto che dice: ”le Città si spiegano da sole”. In parte è vero ma non del tutto. Per riconoscere l’anima di una Città occorre respirarla attraverso le testimonianze, le narrazioni, le empatie che hanno lasciato traccia e sono andate oltre i monumenti, le strade, i caseggiati, gli arroccamenti di nobili e patrizi. È il dramma della storia urbana: nasconde il respiro e fa nascere disinteresse per chi si affaccia e non lo sente. Sorte ancora più difficile tocca alle periferie, ai paesaggi, alle terre che fanno da cornice.
Il paesaggio spesso si dimentica è dato per scontato: è lì fermo da sempre, adatto solo a chi non lo a mai osservato. Eppure la sua fragilità nascosta illude, crea un inganno percettivo: i filari di pioppi, le terre brune arate, i campi di granturco, gli appezzamenti lavorati, i profili delle montagne che trattengono i tramonti sembrano non poter morire mai, respirano di loro e rendono facilmente partecipi alla bellezza. La natura inganna, nel tempo provoca un accomodamento della visione di chi la frequenta, tanto da divenire stimolo abituale.
Guardando Sulmona con la sua valle, il sospiro viene facile. Sono passati quaranta anni. Eravamo alla metà degli anni ottanta quando l’Italia aveva compiuto il suo salto evolutivo con i processi di modernizzazione finiti. Le autostrade terminate, i flussi migratori interni conclusi, l’espoliazione delle coste in rifinitura. La pace sociale,dopo il periodo della “lotta armata”, consolidata. Sulmona aveva il suo nucleo industriale, la Fiat e l’Ace, la stazione ferroviaria era un manto di lavoratori, sui campi, le produzioni di aglio rosso e di prodotti nostrani risentivano della meccanizzazione e il lavoro manuale si addolciva.
In quel periodo (1984) il gruppo dei fotografi che seguivano Luigi Ghirri, avviavano il lavoro che diede vita a “Viaggio in Italia” documentando il paesaggio urbano e ciò che c’era fuori, intorno alle città. Della bellezza del nostro contesto naturalistico, della cornice ambientale che cinge Sulmona, che si apre scendendo da Cocullo o sbucando dalla galleria di Bussi nelle giornate terse e fredde, si è scritto relativamente poco; poco si dibatte, poco si enfatizza.
La Cultura –cosiddetta– Alta non ha molta dimestichezza con simili traguardi, la terra è terra e resta ad altri. Si parla di comunità energetiche, di nuova industrializzazione, di terre di risulta e l’idea di paesaggio resta sopita: c’è, è cosa data. Molto sta avvenendo lasciando segni profondi che vanno sommandosi all’incuria per le periferie, al degrado di spazi e angoli. Il recente si somma al peggio del passato, connuove installazioni prive di norme stringenti, con poche regolamentazioni, bassocontrollo. Occorre un nuovo spunto, un nuovo boom economico per uno sviluppo fermo da tempo, e allora forza: le bruttezze edilizie, di impiantistica, di cementificazione è il prezzo che occorre pagare. Se il crollo demografico può essere frenato con il sacrificio della nostra Valle allora si proceda pure. Eppure “Sulmona nostra” non può essere scissa dal suo tessuto paesaggistico, assume e mantiene il suo valore storico se resta adagiata nel suo contesto da cielo aperto. Occorre riflettere dare indirizzi, norme, tutela. Per tempo.
Occorre aprire un dibattito non aspettare, non ci sarà clemenza. La piega presa va condizionata, regolata: si fa ancora in tempo. La riconversione ecologica ha la stessaforza di un cementificio sugli scorci di un paesaggio. Le strutture che stanno sorgendo in Valle Peligna, adiacenti a Sulmona, sono destinate ad aumentare e sarebbe meglio indagare luoghi appropriati, dibatterne le forme, i volumi, le collocazioni, la regolamentazione. Aprire trattative. Il nostro nucleo industriale,ormai declassato a semplice deposito e a cimitero industriale di piccola periferia, ci fa memoria. Andrea Carandini, sul Corriere, ha scritto: “la destra ha il culto della tradizione e la sinistra quello del progresso” affermazione discutibile e forse priva di senso se si pensa al valore della nostra Storia. Ma certo è che le testimonianze antichepossono trasformarsi in feticci e renderci analfabeti rispetto al valore di uno scorcio naturalistico. Come dire, l’evocazione del passato non può essere contrapposto al decadimento del presente.
Post Views: 68
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link
Informativa sui diritti di autore
La legge sul diritto d’autore art. 70 consente l’utilizzazione libera del materiale laddove ricorrano determinate condizioni: la citazione o riproduzione di brani o parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi qualora siano effettuati per uso di critica, discussione, insegnamento o ricerca scientifica entro i limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera citata o riprodotta.
Vuoi richiedere la rimozione dell’articolo?
Clicca qui
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link
Informativa sui diritti di autore
La legge sul diritto d’autore art. 70 consente l’utilizzazione libera del materiale laddove ricorrano determinate condizioni: la citazione o riproduzione di brani o parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi qualora siano effettuati per uso di critica, discussione, insegnamento o ricerca scientifica entro i limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera citata o riprodotta.
Vuoi richiedere la rimozione dell’articolo?
Clicca qui