Il pignoramento immobiliare dell’intero patrimonio aziendale non costituisce una causa di disapplicazione automatica delle disposizioni sulle società di comodo (art. 30, l. n. 724/1994). Tuttavia, il pignoramento può rappresentare una causa di disapplicazione non automatica, permettendo al contribuente di dimostrare in giudizio l’esistenza di situazioni oggettive che hanno reso impossibile il conseguimento del reddito minimo richiesto dalla disciplina. Spetta ai giudici di merito valutare le prove presentate dal contribuente. Queste, in sintesi, le conclusioni a cui giunge la corte di cassazione (sentenza n. 30607 del 28/11/2024) chiamata a valutare se il pignoramento di tutti i beni sociali costituisce una causa di disapplicazione automatica della disciplina delle società di comodo, rientrando, direttamente o per assimilazione, tra le situazioni oggettive contemplate nel provvedimento del direttore dell’agenzia delle entrate n. 23681/2008.
La vicenda
Il caso esaminato riguardava una società che, tornata in bonis dal 2007 dopo essere stata amministrata da un liquidatore giudiziario, dal 2008 era gestita da un custode giudiziario incaricato di procedere alla vendita all’asta di tutto il patrimonio immobiliare pignorato da terzi creditori. L’Agenzia delle Entrate aveva emesso tre avvisi di accertamento per il periodo 2008-2010, contestando l’omessa dichiarazione del reddito minimo imposto alle società di comodo. La presenza degli immobili nell’attivo patrimoniale portava la società a non superare il “test di operatività” previsto dall’art. 30 della legge n. 724/1994, imponendo la determinazione del “reddito minimo”.
La società riteneva, invece, di trovarsi nelle condizioni per poter disapplicare, in via automatica, la disciplina delle società di comodo, sostenendo di poter equiparare il pignoramento al sequestro penale o alla confisca, fattispecie previste nel citato provvedimento del 2008. La corte non ha condiviso tale tesi, stabilendo che le situazioni indicate nel provvedimento “non possono essere soggette ad un’interpretazione estensiva, o addirittura analogica”.
La disciplina delle società
Risolta la questione di diritto controversa (il pignoramento non è causa di disapplicazione automatica), i giudici hanno ricostruito la disciplina delle società di comodo, evidenziando, in primo luogo, come la presunzione legale di non operatività scatta automaticamente al mancato superamento del “test di operatività” (ricavi effettivi inferiori a quelli minimi, determinati applicando specifici coefficienti a taluni beni aziendali), comportando l’obbligo di dichiarare un “reddito minimo” (determinato in base a coefficienti di redditività dei beni aziendali). Questo meccanismo, segnalano i giudici, rappresenta una “mera operazione matematica”. I numeri sorreggono la presunzione legale che però è relativa e ammette prova contraria. Alcune situazioni oggettive che non consentono di conseguire il reddito minimo sono predeterminate nel provvedimento del 2008 per effetto della previsione di cui al comma 4-ter de citato art. 30. Altre situazioni devono essere dimostrate dal contribuente. Il comma 4-bis dell’art. 30 ammette la possibilità per il contribuente di provare che il mancato conseguimento dei ricavi minimi sia dipeso da una situazione oggettiva diversa da quelle predeterminate. Più in generale, il contribuente può dimostrare che la società svolge un’effettiva attività economica, caratterizzata da una reale operatività, nella prospettiva di ottenere un lucro e non di gestire il patrimonio nell’interesse dei soci per fruire di indebiti vantaggi fiscali. La prova può essere fornita direttamente in giudizio, senza necessità di presentare un interpello disapplicativo (che resta, per consolidata giurisprudenza, facoltativo).
Data tale ricostruzione e constatate alcune contraddizioni nelle sentenze di merito, la corte annulla le sentenze e rinvia alla competente corte di giustizia di secondo grado per accertare, sulla base dei fatti e delle prove, se sussistono le condizioni, ai sensi del citato comma 4-bis, per disapplicare comunque la disciplina delle società di comodo. Dalla lettura della sentenza, sembra che i giudici intravedano una effettiva incapacità di generare reddito da parte di una società che possiede solo beni immobili pignorati, da vendere all’asta. Ma detto giudizio spetta ai giudici di merito non a quelli di legittimità.
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