I carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Bari hanno eseguito, in varie località della Puglia e del Lazio, un’ordinanza nei confronti di 4 persone, a vario titolo, ritenute responsabili di associazione a delinquere finalizzata alla ricettazione ed esportazione illecita di reperti archeologici e numismatici. Il provvedimento è stato emesso dal Gip di Bari su richiesta della locale Procura
L’ordinanza scaturisce da una vasta e articolata indagine, convenzionalmente denominata “Art Sharing”, avviata nel 2020 dal Nucleo Tpc di Bari, che ha portato alla disarticolazione di un sodalizio criminoso dedito allo scavo clandestino, operato da tombaroli e trafugatori esperti, per l’impossessamento illecito e furto di beni culturali appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato, alla conseguente ricettazione tramite uno stabile canale di approvvigionamento illecito e una consolidata rete logistica finalizzata all’occultamento, alla determinazione del valore, alla predisposizione di documentazione accompagnatoria per l’attribuzione di un’apparente lecita provenienza dei beni, nonché al trasporto mediante mezzi idonei (autoveicoli appositamente predisposti e corrieri professionisti) e strategiche comunicazioni atte a eludere eventuali investigazioni (canali telematici anziché telefonici, utilizzo di un linguaggio criptico e false identità personali), oltre alla successiva uscita ed esportazione illecita dal territorio italiano, potendo contare sulla stabile disponibilità all’acquisto da parte di soggetti, anche stranieri, a vario titolo coinvolti nella catena della ricettazione.
In particolare, l’intero traffico illecito di reperti archeologici veniva gestito attraverso una fantomatica casa d’aste, con sede ad Anversa (Belgio), riconducibile a due dei soggetti colpiti dalla misura cautelare, che proponeva la vendita dei beni prevalentemente apuli ed etruschi, illecitamente trafugati da aree archeologiche dell’Italia centro-meridionale, a gallerie e case d’asta in vari paesi europei ed americani. La florida rete commerciale creata, nel procurare un ingente profitto all’organizzazione, ha cagionato un danno di rilevante entità al patrimonio culturale e archeologico nazionale, con dispersione di testimonianze storiche ormai irrecuperabili.
L’inchiesta, sviluppata anche sul piano internazionale, è stata supportata da attività tecniche, dinamiche e telematiche, consentendo di individuare l’intera filiera tipica della classica struttura organizzativa dedita al traffico internazionale di beni archeologici. Infatti, è stata contestata anche l’aggravante della transnazionalità. Il sodalizio aveva basi operative nelle province di Bari, BAT e Foggia e con diramazioni nel Lazio, Emilia Romagna, Repubblica di San Marino, nonché in Belgio e Spagna.
Nel corso delle investigazioni sono state eseguite perquisizioni all’estero, con la collaborazione della Guardia Civil spagnola, della Polizia Federale belga e di quella svizzera, a Granada, Valencia, Bruxelles e Lugano, che hanno consentito il sequestro di importanti reperti archeologici acquistati presso la “inesistente” casa d’aste, che inviava i preziosi manufatti avvalendosi della rete logistica di spedizione creata per lo scopo illecito. Tra gli oggetti recuperati (circa trecento) figurano vasi ceramici con decorazioni (in particolare due Hydria a figure rosse, tre Kylix a vernice nera, due Lekanis a figure rosse, una Oinochòe a bocca trilobata), oltre duecento monete in argento e bronzo di varie epoche, molte coniate da zecche dell’antica Puglia (in parte ancora interessate da incrostazioni terrose), anelli in bronzo e pendagli, vari metal-detectors e attrezzature per lo scavo, false attestazioni di provenienza dei reperti e apparati informatici utilizzati per le trattative e le transazioni commerciali. Emergono, fra essi, un eccezionale sarcofago di marmo risalente all’epoca romana imperiale rinvenuto in Belgio e quindici sculture etrusche rinvenute in Spagna, unitamente ad altri reperti ceramici risalenti al V-III sec. a.C. di provenienza italiana.
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