La sentenza chiarisce i limiti della responsabilità dei proprietari immobiliari, escludendo obblighi automatici per danni ambientali causati dai conduttori, salvo dolo o colpa dimostrata.
Con la sentenza n. 7439/2024, il Consiglio di Stato ha ridefinito i limiti della responsabilità dei proprietari immobiliari in caso di rifiuti abbandonati da terzi nei loro immobili. Il caso coinvolgeva un capannone industriale, concesso in locazione, dove erano state rinvenute circa 600 tonnellate di rifiuti illegalmente depositati.
Il Comune aveva emesso un’ordinanza per imporre al proprietario, insieme al conduttore, la rimozione dei rifiuti e il ripristino ambientale, adducendo una presunta responsabilità solidale per mancata vigilanza.
Il Consiglio di Stato ha però ribaltato il giudizio di primo grado, stabilendo che la responsabilità del proprietario non può essere presunta per il solo fatto di possedere l’immobile. Essa deve invece essere provata dimostrando elementi di dolo o colpa.
Questa decisione solleva interrogativi di grande rilevanza: in che modo i proprietari possono tutelarsi da situazioni analoghe? Quali sono i confini reali delle loro responsabilità?
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Il quadro giuridico di riferimento
Il cuore della controversia si fonda sull’applicazione dell’articolo 192 del d.lgs. n. 152/2006, noto come Testo Unico Ambientale. Questa norma vieta l’abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti e prevede che chiunque violi tali divieti sia obbligato a rimuovere i rifiuti e ripristinare lo stato dei luoghi.
Tuttavia, il comma 3 della stessa disposizione specifica che tale obbligo può essere esteso al proprietario dell’area solo se l’illecito è a lui imputabile per dolo o colpa.
Questo principio si intreccia con il più generale principio comunitario del “chi inquina paga”, sancito dall’articolo 191 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).
La norma impone che i costi legati al ripristino ambientale siano sostenuti esclusivamente dai responsabili diretti del danno, evitando di attribuire responsabilità in modo automatico o per il solo fatto di possedere un determinato bene.
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I dettagli del caso concreto
Il caso ha avuto origine nel 2018, quando le autorità hanno scoperto circa 600 tonnellate di rifiuti illegalmente depositati all’interno di un capannone industriale situato in una zona periferica. L’immobile, di proprietà di una società privata, era stato regolarmente concesso in locazione a un’azienda terza, la quale ne aveva piena disponibilità.
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A seguito del rinvenimento, le autorità locali avevano avviato un procedimento amministrativo culminato nell’emissione di un’ordinanza comunale, con cui si imponeva sia al locatario sia al proprietario di rimuovere i rifiuti, provvedere al loro smaltimento e ripristinare l’area.
La motivazione del Comune si basava su un’interpretazione estensiva dell’articolo 192 del Testo Unico Ambientale, secondo cui il proprietario dell’immobile è obbligato a garantire la vigilanza e il corretto utilizzo dei propri beni da parte del conduttore. Tale argomentazione, secondo l’amministrazione comunale, trovava giustificazione nella gravità del danno ambientale, nella continuità dell’illecito e nell’apparente inerzia del locatore.
La società proprietaria, però, ha rigettato le accuse, sostenendo di non avere alcun obbligo contrattuale di vigilanza sulle attività svolte dal conduttore e di non essere stata in alcun modo coinvolta nella gestione del capannone. Dopo un primo rigetto del ricorso da parte del TAR, la questione è stata sottoposta al Consiglio di Stato.
Qui, i giudici hanno accolto l’appello del proprietario, riconoscendo che la mera qualità di locatore non comporta automaticamente una corresponsabilità per le azioni compiute dal conduttore, in assenza di una dimostrata colpa o dolo del proprietario.
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Le motivazioni della sentenza
Il Consiglio di Stato, ribaltando la sentenza di primo grado, ha chiarito che la responsabilità del proprietario per il deposito illecito di rifiuti non può essere automatica o derivare semplicemente dalla proprietà del bene. I giudici hanno sottolineato che l’articolo 192, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006, richiede la dimostrazione di un comportamento doloso o colposo da parte del proprietario affinché possa essere ritenuto corresponsabile.
In questo caso specifico, le indagini condotte avevano già individuato i responsabili materiali del deposito illecito, escludendo ogni coinvolgimento attivo o negligenza significativa del locatore.
La sentenza ha inoltre evidenziato che gli obblighi di vigilanza e custodia attribuiti al locatore si limitano allo stato di conservazione dell’immobile e degli impianti, senza estendersi al controllo sulle attività svolte dal conduttore. Ritenere diversamente, hanno spiegato i giudici, significherebbe imporre una sorta di “responsabilità oggettiva” in capo al proprietario, in contrasto con il principio comunitario del “chi inquina paga”.
Inoltre, il Consiglio di Stato ha citato giurisprudenza consolidata secondo cui la responsabilità del proprietario in casi simili può sussistere solo in presenza di elementi concreti che dimostrino un’omissione colpevole o un comportamento negligente, come la mancata recinzione dell’area o l’assenza di verifiche in situazioni di evidente rischio.
TAGS: bonifica ambientale, custodia immobili, locazione industriale, normativa rifiuti, principi ambientali, responsabilità proprietari immobiliari, rifiuti abbandonati, sentenza Consiglio di Stato, Testo Unico Ambientale, vigilanza locatori
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