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Ciò che va bene a Fiat va bene all’Italia #finsubito prestito immediato


Auto, unità in Europa

Il tonfo in Borsa delle azioni di Stellantis, dopo le dimissioni dell’amministratore delegato Carlos Tavares, proviene da lontano. La fusione del gruppo Peugeot-Citroën con la Fiat è stato un affare per gli eredi dell’avvocato Giovanni Agnelli, stimato da molti in circa quattordici miliardi. Era evidente però che tale fusione avrebbe provocato un allontanamento dalle fabbriche italiane ex Fiat. Va aggiunto che questo allontanamento era già avvenuto prima, quando la Fiat trasferì il proprio domicilio fiscale ad Amsterdam.

In questo quadro si inserisce la delibera dell’Unione europea, la quale ha stabilito che dal 2035 non si potranno più costruire auto con motori termici, a benzina o a diesel. Intendiamoci, il contraccolpo non è stato solo per la famiglia ex Fiat, bensì anche per le case automobilistiche tedesche, le quali hanno necessariamente dovuto prevedere un ridimensionamento della futura produzione.
Ricordiamo che un terzo dei componenti delle auto tedesche è prodotto in Italia, quindi la diminuzione della quantità di auto fabbricate in Germania comporta una riduzione delle forniture di componenti, appunto, di un terzo.

Nello scenario prima indicato vi è anche un’incertezza dei consumatori, ai quali vengono offerte le auto elettriche. Perché tali incertezze? Per la semplice ragione che nel nostro Paese mancano le infrastrutture di ricarica, cosicché chi ha il proprio garage o parcheggio nel condominio può ricaricare le batterie della propria auto, tutti gli altri invece hanno difficoltà.
È vero che c’è un piano infrastrutturale per mettere le colonnine elettriche nelle aree di servizio di strade e autostrade, ma esso avrà bisogno di molti anni per vedere la luce, né d’altra parte i Comuni stanno infrastrutturando le proprie strade con le colonnine. Conseguenza di quanto vi scriviamo è appunto l’incertezza dei consumatori a orientarsi verso l’acquisto delle auto elettriche, nonostante tale transizione sia necessaria.

Bisogna ricordare che i due più grandi produttori di tali veicoli sono l’americana Tesla e la Byd cinese, che gareggiano per avere il primato di auto a trazione elettrica prodotte ogni anno.
L’Europa al riguardo è molto indietro, ecco perché le sue fabbriche sono in gravi difficoltà.

Tornando agli stabilimenti automobilistici ex Fiat nel nostro Paese, dobbiamo sottolineare che l’impegno del Gruppo di produrre un milione di auto è stato fortemente disatteso e il livello di circa settecentomila è via via sceso nel tempo, forse al di sotto di cinquecentomila, per cui ha fatto bene il Governo a togliere finanziamenti al settore dell’automotive, confermando il proprio impegno a finanziare le auto vendute, ma prodotte in Italia, con componentistica prevalentemente europea. Va da sè la pericolosa ricaduta sull’occupazione conseguente a questa riduzione della produzione.

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Di fronte a questo quadro, la questione va affrontata al livello europeo e non più nazionale, sottolineando che i problemi comuni a tutte le fabbriche più importanti del Vecchio continente dovrebbero portare a una soluzione congiunta che prospetti con decisione opportune soluzioni, anche compatibili con la transizione energetica promessa da tutti i Paesi membri dell’Accordo di Parigi, sottoscritto nel 2015.

Cinquant’anni fa l’avvocato Giovanni Agnelli soleva dire, con un po’ di supponenza: “Quello che va bene per la Fiat, va bene per l’Italia”, intendendo dire che l’economia e l’occupazione del Paese dovesse seguire e non precedere i programmi dell’azienda torinese.
Vogliamo ricordare che Agnelli fu promotore della legge sull’equo canone (392/78), con cui si calmieravano gli affitti di abitazione. Qual è il nesso con gli stipendi degli operai Fiat? Tenendo bassi gli affitti, si potevano tenere bassi gli stipendi.
Quanto precede, senza contare i finanziamenti a cascata che i Governi di tutti i tempi hanno dato alla Fiat, in maniera abnorme e superiore a quei contributi che gli Esecutivi di altri Paesi europei hanno dato alle proprie fabbriche.
Tutto ciò non è servito, però, a mantenere nel nostro Paese quella situazione, per cui oggi siamo arrivati all’altra descritta all’inizio dell’editoriale.





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