Parere di un suo autorevole collega: sembra un processo di quelli che faceva lui. I fatti: mercoledì sera la sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha deciso che Piercamillo Davigo è un po’ colpevole e un po’ (ancora) innocente per la questione dei verbali dell’interrogatorio dell’avvocato Pietro Amara sulla cosiddetta Loggia Ungheria. Colpevole perché la condanna per rivelazione di segreto d’ufficio in concorso è stata confermata. Innocente perché la rivelazione a terzi sarà oggetto di un nuovo processo d’Appello. Il problema è che il concorrente della rivelazione di segreto, il pm Paolo Storari, è stato definitivamente assolto. Che si fa in questi casi? Non si sa, però le sentenze si pubblicano per essere discusse, quindi quando dal Palazzaccio usciranno le motivazioni – forse – avremo la spiegazione dell’apparente controsenso processuale.
Comunque per Davigo la decisione della Cassazione è la prima mezza vittoria in una vicenda che l’ha visto per tutto il tempo fare la parte dell’imputato circondato dai sospetti. Il merito è soprattutto dei suoi difensori. Uno è Davide Steccanella, una gloria del foro di Milano, già difensore di Renato Vallanzasca e di molti ex brigatisti rossi, oltre che pregevole scrittore. L’altro è Franco Coppi, una leggenda dell’avvocatura italiana con una lista di clienti da manuale di storia contemporanea: Giulio Andreotti, Silvio Berlusconi, Gianni De Gennaro (per la mattanza della Diaz), Vittorio Emanuele di Savoia, Antonio Fazio (per il caso Antonveneta), Francesco Totti.
«Io non ci capisco più nulla se non che a Brescia hanno sbagliato, come avevamo sostenuto nel ricorso – dice al manifesto Steccanella -. Mi riesce difficile comprendere come si possa rafforzare il proposito criminoso di Storari, di cui è stata accertata in modo definitivo l’assenza. Mi spiace solo che proprio ieri (mercoledì, ndr) è morto l’avvocato Francesco Borasi, storico amico e difensore del dottor Davigo».
In ogni caso, si tornerà indietro. A marzo la Corte d’Appello di Brescia aveva condannato Davigo a un anno e tre mesi (pena sospesa), adesso i giudici di secondo grado dovranno tornare a occuparsi di una delle vicende più assurde della cronaca giudiziaria degli ultimi anni. Era la primavera del 2020 e, nell’Italia chiusa per Covid, Storari inviò a Davigo, allora consigliere del Csm, i verbali dell’interrogatorio reso da Pietro Amara agli inquirenti milanesi nel dicembre precedente in cui ventilava l’esistenza di una misteriosa associazione segreta composta da magistrati, politici, poliziotti e funzionari vari apparentemente in grado di influenzare le nomine dei più alti apparati della Repubblica. Era la loggia Ungheria, dal nome della piazza romana dove avrebbe avuto sede il tenebroso sodalizio. Storari era molto preoccupato perché, secondo lui, i suoi colleghi non stavano facendo abbastanza: bisognava indagare sulle rivelazioni di Amara o, in alternativa, accusarlo di calunnia. Davigo, a sua volta, diffuse questi verbali in lungo e in largo. In breve finirono sui giornali e per un po’ si parlò dei lobbisti di piazza Ungheria. Solo nel luglio del 2022 è venuto fuori una volta per tutto che non era vero niente, con l’archiviazione del fascicolo da parte del procuratore di Perugia Raffaele Cantone.
Lo strascico è stato tutto per i due diffusori di carte coperte da segreto investigativo. Storari è stato assolto in tribunale e di recente sanzionato dal Csm, che ne ha censurato il comportamento. Davigo, che nel frattempo è andato in pensione, resta tra coloro che sono sospesi. Un po’ condannato e un po’ imputato, cioè innocente fino a prova contraria. O, direbbe lui, «colpevole non ancora scoperto».
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