Alessandro Sacchi è un uomo libero. Ma con un grande peso nel cuore e il processo che lo attende. L’ottantenne che lo scorso 21 giugno ha ucciso la moglie con un colpo di pistola alla testa, non ha più alcuna misura restrittiva. E’ tornato nella casa di viale Giotto ad Arezzo dove avvenne il delitto. Dal carcere è passato dapprima ai domiciliari nella Rsa Fossombroni, ora il giudice ha tolto ogni vincolo alla sua libertà ritenendo cessate le esigenze cautelari, ed è di nuovo nell’appartamento che era il nido di Alessandro e di Serenella Mugnai.
Una vita assieme, prossimi a festeggiare le nozze d’oro. Ma l’Alzheimer in pochi mesi aveva preso possesso della donna, 73 anni, rivoluzionando il suo comportamento, con il rapporto di coppia stravolto. Determinante per la liberazione di Sacchi è stato l’esito della perizia psichiatrica, che sostanzialmente ha detto due cose. L’uomo non è pericoloso né per gli altri né per se stesso. E quando impugnò la vecchia pistola del tempo di guerra ereditata dal babbo e fece fuoco, solo in quel preciso momento, le sue capacità di riflettere, ragionare, determinarsi, erano fortemente scemate. Agì in preda a un “disturbo da stress traumatico” che aveva provocato in lui “una marcata riduzione delle capacità di intendere e volere”.
Gli ultimi bisticci sul bucato in lavatrice e sul fatto che ormai era l’ora di andare a dormire, ma la moglie non ne voleva proprio sapere, innescarono la molla omicida. Una tragica debolezza commessa da un uomo mite che cercava da solo di fronteggiare la progressiva malattia neurologica di Serenella. Impossibile. Il dottor Massimo Marchi ha spiegato come il profilo dell’ottantenne non ha nulla a che vedere con quello di chi commette un omicidio con inclinazione criminale. No, questa è tutta un’altra storia. La fragilità ha fatto da miccia alla tragedia.
Il giudice Stefano Cascone ha quindi accolto la richiesta dell’avvocato Stefano Sacchi, nipote di Alessandro, e dell’avvocato Piero Melani Graverini, volta a ottenere la revoca della misura cautelare. Per l’uxoricida da qualche giorno è ripresa una vita che tuttavia non si può definire normale. Senza la sua Serenella con la quale ha diviso tutto: il lavoro, la quotidianità, i viaggi, la prospettiva di una vecchiaia assieme che invece si è interrotta bruscamente. Non avevano figli e forse anche questo può aver influito. Insieme al pudore e alla riservatezza di chi pensa di potercela fare da sé, di prendersi cura dell’altra, ormai trasformata dalla malattia. Il cortocircuito mentale, lo sparo, avvennero in quel contesto.
“Non ce la facevo più” disse Alessandro consegnandosi alla polizia, dopo aver avvisato il vicino, quella notte. Ora nel calendario per Sacchi c’è una data cerchiata di rosso, l’11 gennaio, quando lo attende la Corte d’Assise. La giustizia terrà conto di tutto, si deve capire se potrà chiedere il rito abbreviato che riduce di un terzo la pena, oppure no. Il reato che gli viene contestato, in teoria, è da ergastolo. Ma la situazione qui è molto particolare, tra vizio parziale di mente e altri aspetti. Ai giudici le decisioni sul percorso del processo (con pm Marco Dioni) e, alla fine, sugli anni di pena che Sacchi – incompatibile con il carcere per l’età – potrebbe pagare ai domiciliari. Intanto, libero, sconta già la pena con il vuoto e il rimorso.
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