Era stato sollevato dall’incarico per un anno dopo un’esposto anonimo. Conto da 130 mila euro per l’azienda ospedaliera dopo il ricorso in Cassazione
È arrivata la Corte di Cassazione a mettere la parola fine a una vicenda che vedeva contrapposti l’ex direttore del Dipartimento di Scienze ginecologiche e della riproduzione umana, il ginecologo Antonio Ambrosini, e l’Azienda ospedaliera di Padova. Una battaglia giudiziaria andata avanti per oltre sedici anni, e che ora vede il professore oggi in pensione vincitore su tutti i fronti: la Suprema Corte ha respinto il ricorso contro la sentenza di Appello che già aveva dato ragione al dottore, pertanto ora la decisione dei giudici lagunari diventa effettiva: l’Azienda ospedaliera dovrà risarcire il docente con 82.520 euro per danni morali e dovrà versargli 50.655 euro a titolo di compensi non pagati.
L’intervento
Il nodo del contendere riguarda una sospensione per un anno dal suo incarico avvenuta nel novembre del 2008: un esposto anonimo lo accusava di aver firmato un intervento per taglio cesareo avvenuto a Padova mentre il docente si trovava in realtà in Cina. Una vicenda che finì con un’assoluzione in sede penale nel 2015, ma che già da subito appariva infondata: che il dottore non avesse partecipato all’intervento sulla sua paziente era stato dichiarato sin da subito. A fare quell’operazione in regime libero professionale fu il dottor Erich Cosmi, e per quanto concerne alla somma incassata, questa va divisa in due: una parte va all’azienda e l’altra al medico che fa l’intervento, la suddivisione della cifra tra Cosmi e Ambrosini era una questione che riguardava i due professionisti.
L’esposto e la sospensione
Tuttavia un esposto anonimo su quella vicenda, giunto sul tavolo dell’allora direttore generale Adriano Cestrone, spinse i vertici dell’azienda ospedaliera a sospendere Ambrosini. Fu una decisione presa con gran velocità: in quel periodo alcune soffiate informarono i giornalisti di quell’esposto e si alzò un gran polverone. La sospensione del medico dal suo incarico venne fatta «per tutelare l’azienda» si scrisse all’epoca, ma non si diede al medico il modo di sapere nel dettaglio quali fossero le accuse e di difendersi nel merito. Dopo il sollevamento temporaneo dall’incarico, avvenuto nel 2008, Ambrosini presentò ricorso al Tar chiedendo la sospensione cautelare del provvedimento. Il Tar respinse la richiesta, accolta l’anno successivo dal Consiglio di Stato. Nel 2009 il direttore poté tornare in ospedale, ma decise di anticipare la pensione prevista nel 2010. Tuttavia la battaglia legale non accennò ad arrestarsi.
Il ricorso respinto in Cassazione
La pm Orietta Canova indagò il medico per falso ideologico e abuso d’ufficio ma fu la stessa procura a chiedere l’archiviazione, che venne accolta dalla gip Cristina Cavaggion. La vicenda civile andò avanti ancora. Il medico si affidò alla difesa degli avvocati padovani Alessandro Janna e Luca Donà. In primo grado il tribunale di Padova diede ragione al prof, stabilendo che l’ospedale avrebbe dovuto restituire ad Ambrosini 79.825 euro a titolo di compensi non percepiti. La Corte d’Appello, cui ricorse l’ospedale, portò a 85.520,72 euro il risarcimento al docente più 50.655 di compensi non pagati. Contro questa decisione ricorse ancora l’azienda ospedaliera: ricorso respinto in Cassazione. Di fatto gli Ermellini oggi sanciscono quanto scritto dai giudici di Venezia: «La sospensione dall’incarico fu illegittima perché il docente non ha potuto difendersi». «Sono felice che si sia arrivati a questo risultato – spiega adesso Ambrosini che oggi ha oltre 80 anni – si era scatenata contro di me una persecuzione che non meritavo. Ho dato tutto alla professione e alle mie pazienti».
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