Il suo nome non circola molto, ma c’è. Nei giorni scorsi, secondo diversi media, tra cui “Il Giornale”, per la sostituzione di Tavares alla guida di Stellantis “molti indizi porterebbero” al 50enne ingegnere napoletano Antonio Filosa. In Fiat dal 1999, capo del mercato americano e Ad di Jeep, considerato un “astro nascente”. Ha studiato al Politecnico di Milano e alla Fundação Dom Cabral in Brasile, dal 2021 top manager Stellantis per strategia e operatività. Ha ricoperto il ruolo di Dg per la regione America Latina di Fca, già componente del Consiglio Esecutivo del Gruppo Fca e capo dei marchi Alfa Romeo e Maserati per l’America Latina.
Se la scelta dovesse veramente ricadere su di lui insieme alla decisione della premier Meloni di assumere su di sé, la delega per il coordinamento delle politiche del Mezzogiorno, che nel 2023 è stata la locomotiva d’Italia per Pil, con occupazione ed esportazione in crescita più della media nazionale e ha già avviato un monitoraggio su quanto già fatto e sull’ancora da fare: incentivi, infrastrutture e investimenti; e quella dell’esecutivo annunciata dal ministro, Urso di mettere a disposizione della filiera dell’auto italiana risorse per almeno 750 milioni da utilizzare, per supportare gli investimenti produttivi delle aziende il Sud e, quindi, l’Italia non potranno che trarne vantaggio.
Ma dovrà superare concorrenti agguerriti vedi il 40enne, Edouard Peugeot, figlio di Robert, attuale vice presidente non esecutivo di Stellantis, che vanta una carriera costruita prevalentemente a Londra, alla banca d’affari JP Morgan, attuale responsabile del fondo private equity TowerBrook, fondato dal padre; e Luca De Meo, allievo di Sergio Marchionne, di cui ha seguito le orme, evitando di gettarsi a capofitto – contrariamente a Tavares, ormai, rimasto quasi da solo, in difesa del divieto d’immatricolare auto a diesel e benzina dal 2035 sull’elettrico e ha rimesso in moto la Renault. Ma il nodo sarà scioglierà prima della metà del 2025.
Quando il Comitato speciale del consiglio presieduto da Elkann completata la procedura di nomina, ufficializzerà il nome del nuovo Ceo permanente che sostituirà il dimissionario (meglio, “dimissionato” per eccesso di arroganza e mancanza di risultati) che lascia un’eredità non semplice da gestire. E a dirlo sono i dati dell’attività del gruppo italo-franco-olendese nato nel 2021 dalla fusione fra la Psa (Peugeot) e Fca (Fiat) voluta proprio da Tavares che controlla 14 fra i maggiori marchi del mercato mondiale dell’Automotive. Numeri che danno la misura del fallimentto della gestione dello strapagato supermanager portoghese il cui stipendio nel 2023 ha toccato i 23 milioni di euro e nel 2024 ha superato i 37, ed è atteso da una liquidazione, anch’essa vicina ai 37 milioni. Il che, ne fa il manager meglio pagato del mondo.
Con una retribuzione cresciuta in misura proporzionalmente inversa ai risultati della multinazionale trilingue che, negli stessi anni, sono andati decisamente peggiorando. Con ricavi che, nel terzo trumestre 2024, si sono fermati a 33 miliardi, registrando un calo del 27%, causa crollo delle vendite a 1.148 milioni di unità con un calo di ben 279mila ovvero il 20% rispetto al 2023; in Europa le immatricolazioni ferme tra luglio e settembre 2024, ad appena 496mila veicoli, rispetto ai 599mila del 2023, ben 103mila in meno, quindi; la vendita dei nuovi modelli, ha segnato un calo di 12miliardi nell’ultima trimestrale. Da gennaio a settembre dell’anno in corso il gruppo ha venduto 1.550mila auto, 6% in meno rispetto allo stesso periodo 2023, con conseguente restringimento della quota di mercato dal 17% del 2023 al 15,9% attuale.
In Europa nessuno sta andando peggio. Nel frattempo il titolo Stellantis è crollato ad appena il 6,3% (risalendo ieri, al 9,5 %), sono saltati oltre 10mila posti di lavoro in Italia (e almeno altrettanti, se non di più, considerando anche l’indotto, sono ancora a rischio). E questo per un azienda che, per arrivare ai livelli, pre Stellantis è costata allo Stato – i nostri lettori ricorderanno di averlo già letto su queste colonne a marzo del 2022 – dal 1975 al 2012, 220 miliardi di euro che tradotti in monete del vecchio conio corrispondono a 425.979 miliardi e 400 milioni di lire. E mancano quelle concesse dal 1899 al 1975 e dal 2012 ad oggi. Non pochi. A partire dalla guerra in Libia, infatti, la Fiat, ha prodotto e fornito armi, mitragliatrici, esplosivi, mezzi terrestri, navali e aeronautici, all’Esercito. E non certamente gratis. E, per almeno un’altra decina di miliardi dal 2012 ad oggi.
Sarebbe il caso che nell’incontro di martedì 17, nel presentare il piano industriale per l’Italia, garantendo occupazione e investimenti negli stabilimenti nazionali, l’azienda tenesse conto anche di questo e richiamasse le 97 lettere di licenziamento inviate ai lavoratori Trasnova e le 50 di quelli Logitech.
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