I governi di Italia e Spagna esprimono posizioni diverse sull’accordo Ue-Mercosur. Se l’esecutivo di Giorgia Meloni ha mostrato poco entusiasmo per la firma della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, del trattato a Montevideo, il governo del socialista Pedro Sánchez intravede nell’intesa una svolta decisiva.
Una ‘fumata bianca’ arrivata dopo 25 anni di negoziati e che ora è chiamata a superare lo scoglio della ratifica del Parlamento europeo prima (qui si richiede una maggioranza qualificata con l’approvazione del 55% degli Stati che rappresentino il 65% della popolazione) e degli Stati membri poi. Il “Mercado Común del Sur” (Mercosur), organizzazione nata nel 1991, ha sempre avuto un dialogo privilegiato con la Spagna, non solo per i flussi migratori o per i fattori storico-culturali: il paese iberico è fortissimo partner commerciale di Argentina e Brasile, le principali economie dell’area.
L’unione doganale ha un ruolo di rilievo in America Latina consentendo un coordinamento delle politiche commerciali utile per la circolazione di merci, servizi e persone, e la fissazione del dazio esterno comune che limita contrattazioni bilaterali tra paesi membri e paesi terzi. Tuttavia è un’organizzazione imperfetta, con paesi omogenei culturalmente ma con infrastrutture molto diverse, disarmonie economiche e differenti visioni politiche.
La ratifica del Trattato collocherebbe la Spagna in una posizione privilegiata rispetto agli altri paesi dell’Unione europea, un ponte non più astratto tra l’America Latina e l’Europa ma una vera cerniera tra due continenti. Alle convinzioni di Madrid verso l’accordo fanno da contraltare i timori di Italia e Francia, sospetti che diventano vera avversione quando si arriva a discutere di libero commercio in settori caldi quali agricoltura e allevamento. I governi di Roma e Parigi avvertono le perplessità espresse dalle organizzazioni interne di coltivatori e allevatori, vi sono apprensioni sui livelli di qualità delle produzioni sudamericane e dubbi sui diversi parametri nell’uso di pesticidi o nelle regole veterinarie, con un potenziale dumping che può determinare distorsioni.
Madrid vede l’altra faccia della medaglia, in primo luogo l’apertura dei propri prodotti verso un mercato di 780 milioni di consumatori. La politica si sfrega le mani per l’abbattimento dei dazi nell’agroalimentare, settore di punta dell’economia spagnola. E l’intesa è vista con interesse anche nel campo di quei servizi, telecomunicazioni e finanza in testa, dove il paese iberico registra già una presenza significativa.
La Spagna, come ha sottolineato in questi giorni anche il Ministro dell’Agricoltura Luis Planas, punterà tutto sui legami culturali e linguistici, un veicolo decisivo per trainare i propri prodotti nell’altro emisfero. L’euforia governativa è condivisa solo in parte dai produttori dell’agroalimentare. La potente Coag, organizzazione di agricoltori e allevatori, i nuovi orizzonti li vede ancora lontani, si sofferma sulla crescita della concorrenza interna per effetto di un dumping alimentato dalle basse retribuzioni latinoamericane e dai minori costi produttivi per i vincoli più blandi esistenti nei paesi del Mercosur.
Non è sulla stessa linea la Federazione spagnola del vino: i prodotti vitivinicoli europei rappresentano la merce più esportata nel blocco Mercosur e le cantine iberiche, col possibile abbattimento del 27% di dazi, vedono nel Brasile il principale sbocco delle nuove esportazioni.
Opportunità o minaccia, la battaglia per la ratifica è solo all’inizio, e tutto lascia presagire che i lobbisti avranno un ruolo decisivo.
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