A valle dell’incontro del 30 ottobre 2024 a Palazzo Chigi con le parti sindacali e a seguito della notizia di un primo slittamento della “deadline” per la presentazione delle offerte vincolanti per l’acquisizione degli impianti delle Acciaierie d’Italia, è necessario focalizzare l’attenzione sulla realtà dei fatti. La situazione di ADI in AS, sotto la guida dei commissari, anche con l’avviamento nel mese di ottobre dell’altoforno n.1 e di quanto collegato a monte/valle e, con la rimessa in ordine dei conti a seguito del prestito ponte concesso della comunità europea, resta di fatto in una situazione preoccupante. Certo le azioni svolte sul riassetto del gruppo dirigenziale, il riavvio di attività bloccate dalla gestione precedente, la ripresa delle forniture dalle materie prime ai ricambi strategici hanno evitato il blocco della fabbrica. Recuperare i danni arrecati agli impianti ed al sistema di gestione precedente, recuperare e riavviare l’indotto non era una cosa semplice. La produzione massima nel 2025 non potrà superare i 3,7-3,8 Mt/anno di acciaio e, con questa limitata produzione, non è semplice valorizzare al meglio nella filiera disponibile a valle che include non solo Taranto ma anche Cornigliano, Novi, Racconigi, etc. Quindi non è pensabile, a parere di molti, di essere nemmeno vicini ad un break even point, anche se si cerca di massimizzare il rendimento del prodotto disponibile per il bilancio generale anche in ottica del futuro acquirente. Alcune semplici considerazioni e fatti:
– L’avviamento del terzo altoforno (AFO/2) sembra essere rinviato alla gestione futura da parte del privato subentrante.
– L’input da parte del governo è stato chiaro sin dall’inizio e non sembra lasciare spazio a ripensamenti. La fabbrica deve proseguire soltanto con il passaggio e la successiva gestione ad un gruppo privato. Dunque un fermo no alla partecipazione dello stato al capitale mantenendo invece solo un ruolo di gestione del passaggio al privato con eventuali agevolazioni e incentivi, gestendo e controllando le agevolazioni senza un coinvolgimento diretto dello Stato (solo erogatore delle facilitazioni / fondi).
– Non sembra esistere, almeno al momento, un piano alternativo ad una completa privatizzazione che si presenta come una operazione non semplice e priva di rischi. L’input del governo è ben chiaro ed il gruppo dirigente non ha alternative a muoversi rigidamente su questa linea.
– Sarà difficile, dunque, trovare un accordo ed effettuare una ragionevole vendita e far rispettare impegni ed accordi nel tempo, senza consistenti agevolazioni e incentivi da parte dello stato (certi e non eventuali).
Al momento di definire accordi e siglare contratti, l’operazione di vendita potrà presentare difficoltà e criticità legate alle motivazioni sotto/ riportate.
– Situazione impiantistica critica: l’attuale condizione delle unità produttive, richiederà consistenti interventi di risanamento per traguardare produzioni di almeno 6 Mt/anno di acciaio.
– Rinnovo dell’AIA: le procedure AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) per poter garantire l’operatività dell’impianto fino a 6 milioni di tonnellate/anno di acciaio sono state avviate, ma il percorso autorizzativo potrebbe non esser semplice. Il nuovo gestore dovrà sviluppare poi una nuova AIA in linea e coerente con il proprio piano industriale. Non appare, anche, questo un /percorso privo di ostacoli. A seguire dovrà anche superare la valutazione di impatto sanitario (Vis) per produzioni di 6/8 M Mt/anno.
– Costi di gestione e ricavi: la fabbrica di Taranto e naturalmente anche le aziende controllate, hanno realizzato profitti con produzioni elevate di acciaio della capofila di Taranto con almeno 8 Mt/anno di acciaio. Un tale livello di produzione non potrà essere raggiunto prima del 2028 per cui almeno il pareggio di bilancio dovrà essere ottenuto con le produzioni massime possibili di 6 Mt/anno di acciaio per almeno un triennio. Non appare come una operazione semplice, anche in considerazione degli investimenti che la nuova società dovrà effettuare e che i costi operativi, dopo gli adeguamenti per la sostenibilità della fabbrica, hanno avuto un incremento non trascurabile. Difficile, dunque, raggiungere il break even point.
– Assetti occupazionali: le produzioni limitate a 6 Mt/anno di acciaio almeno sino al 2028, richiederanno ancora un ricorso alla cassa integrazione di notevole entità. In più occasioni anche le organizzazioni sindacali hanno messo in rilievo le difficoltà dell’operazione in atto richiedendo una consistente partecipazione dello Stato.
– Sviluppo di un piano industriale: la fabbrica ed il territorio e l’Europa richiederanno dei piani industriali da realizzare con tecnologie sempre più sostenibili per l’ambiente con importanti investimenti ed aumentate necessità energetiche (con costi elevati in Italia). Il rischio sarà quello di trovarsi in situazioni come quello di Piombino dove i percorsi tracciati non sono stati ancora realizzati e gli accordi disattesi e spostati a tempi lunghi.
– Fattore tempo: di certo la difficile situazione economica e gestionale non gioca a favore di una corretta, sicura e conveniente operazione di trasferimento degli assets ad un nuovo gruppo privato che richiede tempi di attuazione molto contenuti.
Quanto sopra riportato è esclusivamente nell’intento di dare un allarme ad una situazione che potrebbe degenerare. In conclusione, pur apprezzando l’impegno del governo nel volere trovare una soluzione, appare molto pericoloso che il futuro di ADI e delle sue importanti fabbriche sia legato ad una rischiosa operazione di vendita senza paracadute. Quando la fabbrica fu venduta al gruppo RIVA le condizioni erano completamente diverse e fu (per loro) facile farla funzionare e raggiungere ottimi risultati e fare profitti. Oggi si parte con alcuni handicap non facili da superare ed è da considerare il presupposto base per cui non esistono privati che abbiano voglia di perdere capitali, ma solo concludere affari vantaggiosi. Aggiungiamo che oggi l’operazione avviene anche in un clima abbastanza “ostile” non facilmente comprensibile e accettabile, per alcuni gruppi industriali esteri. Il fattore tempo in questa operazione è sicuramente determinante e ipotizzare un unico percorso suscettibile di un risultato negativo potrebbe trascinare la soluzione nel tempo e vanificare ogni sforzo di ripresa accumulando perdite consistenti che potrebbero pregiudicare ogni ipotesi di soluzione positiva. Per Taranto il “fallimento” dell’operazione di rilancio, ovviamente non auspicabile, porterebbe inevitabilmente alla chiusura della fabbrica, dell’indotto e del porto e ad un problema sociale di rilevanza epocale trascinando ingenti costi per le bonifiche e problematiche per il futuro degli assetti occupazionali.
(E non solo!) In conseguenza la siderurgia italiana subirebbe un taglio nei volumi e qualità degli acciai nazionali con rilevanti effetti sull’economia del Paese.
Infatti, tra le criticità del settore siderurgico a livello nazionale, viene individuata la crisi del ciclo integrale ed il calo delle attività delle Acciaierie d’Italia principale produttore di laminati piani fondamentali per il settore della metalmeccanica, i mezzi di trasporto e gli elettrodomestici.
Nel 2023, a fronte di un consumo interno di 15 milioni di tonnellate il paese ha importato 11 Milioni di tonnellate di prodotti piani!
Andrebbe data la dovuta attenzione all’eccellente analisi del BREF di CDP (Cassa Depositi e Prestiti): “La siderurgia italiana tra sfide nazionali ed europee: Quali prospettive di sviluppo?”
In questo documento, sono evidenziati alcuni concetti essenziali come: “Senza una siderurgia forte e competitiva non è possibile alcun tipo di sviluppo industriale” e viene focalizzata la necessità di un rafforzamento ed ampliamento della dotazione produttiva di acciaio nazionale.
Oggi meno del 15% è la produzione di acciaio primario che parte dal minerale ferroso: l’unico stabilimento rimasto in Italia in grado di produrre questa tipologia di acciaio è quello dell’Acciaieria d’Italia a Taranto passata da una produzione storica che superava gli 8 milioni di tonnellate (un terzo della produzione del totale nazionale), a circa 3 milioni di tonnellate. Non è banale ricordare che in tutta l’Europa si produce acciaio da altoforno.
I laminati piani prodotti da acciai primari sono insostituibili in diverse lavorazioni e – riporta sempre il BREF- è una produzione irrinunciabile per i volumi ma soprattutto per la qualità dell’output ed aggiunge che “risulta fondamentale avanzare rapidamente nel piano di ripartenza dello stabilimento di Acciaierie d’Italia a Taranto, presidio strategico dell’industria nazionale per tecnologia, volumi e tipologia di prodotto”.
Michele Conte
(Presidente delegazione di Taranto di Federmanager)
Roberto Pensa
(già dirigente siderurgico Taranto)
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