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A Venezia sta nascendo una nuova isola: «Grazie al Mose, per ora è lunga 260 metri» #finsubito prestito immediato – richiedi informazioni –


di
Vera Mantengoli

La barena chiamata Bacàn, che emergeva d’estate e spariva d’inverno sferzata dalle mareggiate, adesso è stabile: hanno già attecchito le piante

La si credeva effimera, ma invece è tornata con un’anima punk. Dai fondali salmastri della Laguna si è formata più forte di prima la tanto amata isola del Bacàn, una striscia di terra tra l’isola di Sant’Erasmo e la bocca di porto del Lido che collega l’Adriatico alla laguna, che ha segnato generazioni di veneziani che vi si recavano d’estate per lasciarsi il mondo alle spalle e godere la pace di un angolo di paradiso.

«Grazie al Mose»

Fino a qualche anno fa, l’esile silhouette, era visibile solo d’estate per poi dissolversi d’inverno, spazzata via dalle furiose folate di vento che la sbriciolavano in miliardi di granelli di sabbia. Quando una decina di anni fa venne realizzata una parte di Mose alla bocca di porto di San Nicoletto e costruita proprio vicino al Bacàn un’isola artificiale come centro di controllo delle barriere, in molti temettero di averla perduta e che si fosse infranto un segreto. Il rifugio era stato scoperto. Eppure, qualche giorno fa, la sorpresa dal sapore di meraviglia. Ricoperta da piante alofile e da una vegetazione capillare, l’isola è stata avvistata e visitata da Giovanni Cecconi, ingegnere idraulico con oltre 35 anni di esperienza di Mose alle spalle. «Dicevano che il Mose avrebbe cancellato il Bacàn, invece grazie al Mose quello che prima era uno scanno, cioè un deposito di sabbia con un fondale molto basso, ora è un’isola lunga 260 metri e larga dieci – racconta Cecconi, già direttore della Control Room del Mose e del Servizio informativo del Consorzio Venezia Nuova e fondatore di Wigwam Venice Lab – Con quei ciuffi di piante alofile e tamerici sembra una cresta punk in mezzo alla Laguna».




















































Le fotografie e gli studi

Mostrando le fotografie prese da Google Earth, Cecconi sostiene che l’isola ha potuto prendere la forma attuale proprio grazie al Mose che l’ha protetta «dagli schiaffi che prendeva da un lato dalla Bora e dall’altro dal moto ondoso delle imbarcazioni». Per lui questa è la dimostrazione che chi sosteneva che il Mose avrebbe cancellato le barene, si è sbagliato. «Dal 2020 l’isola è in crescita tanto che è presente tutto l’anno – ha ribadito l’ingegnere che ha postato diverse foto sui suoi profili social – Il Mose la sta proteggendo dalle decine di mareggiate causate dalla Bora che non producono più onde in grado di demolire i depositi estivi. In questo modo lo scanno centrale continua a crescere, catturando i depositi organici e le sabbie e popolandosi di vegetazione». Per Cecconi questa sarebbe anche la dimostrazione che gli studi che sostenevano che le barene crescono del 70% proprio durante le mareggiate non sono corretti.

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Pareri diversi

In realtà il professore di Idrologia dell’università di Padova Andrea D’Alpaos non ha cambiato parere: «Premesso che sono abituato a testare le ipotesi – spiega – Tuttavia più che il Mose come opera, credo che l’isola del Mose abbia modificato in positivo la condizione idrodinamica della corrente, favorendo la disposizioni di sedimenti dall’interno della Laguna e l’accrescimento in verticale dell’isola, ma da questo non si può dire che il Mose favorisca la crescita delle barene». A oggi le ricerche del dottorando Davide Tognin, effettuate con i docenti Luca Carniello e Andrea D’Alpaos, hanno dimostrato che le barene crescono con le mareggiate e che l’innalzamento delle barriere protegge la città, ma inevitabilmente riduce l’apporto di sedimenti.

Tra i due punti di vista opposti quello dell’ingegnere Pierpaolo Campostrini, direttore del Corila, prende il meglio di ciascuno: «Ogni teoria va verificata, ma di sicuro il Bacàn ci mostra quanto sia dinamica la Laguna – dichiara – Spero che, quando si sarà insediata l’Autorità della Laguna, metta tra le priorità la nascita di un osservatorio per permettere di studiarne meglio i movimenti e le dinamiche, in continuo cambiamento». Lo racconta bene la storia di quella che fu un’esile striscia di sabbia, tornata poi a farsi viva con una cresta verde di tamerici e salicornie.

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13 dicembre 2024 ( modifica il 13 dicembre 2024 | 13:35)



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