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Dopo Calenzano: sicurezza, prevenzione e formazione come urgenze prioritarie #finsubito prestito immediato


Sicurezza precaria tra lavoro povero, scarse attività formative, fragilità dei controlli e deboli investimenti di manutenzione: “condotte scellerate” contro cui punta il dito la magistratura. Tutto questo ha prodotto il mix incendiario e mortale di Calenzano. Che si poteva evitare attraverso un doppio tetragramma di prevenzione-salute-sicurezza con formazione-consapevolezza-cultura.

Di fronte all’ennesima strage del lavoro a Calenzano con l’altissimo costo umano di 5 morti e 26 feriti si rendono necessarie – ripetiamolo per l’ennesima volta – diversa governance e investimenti nella sicurezza dei luoghi di lavoro, associata ad investimenti formativi di un lavoro sempre più povero (e dequalificato) e accrescendo i controlli per ridurre le troppo ricorrenti morti sul lavoro e tali da aver prodotto purtroppo anche una “tragica assuefazione”. Perché – va detto – che abbiamo quasi 1000 impianti a rischio elevato (tra i quali Calenzano) che esigono manutenzioni e controlli periodici e sistematici e che non è possibile assicurare (questi ultimi) con 12-15 ispettori regionali e 6 dell’Ispra a livello nazionale. Dunque Stato e Regioni “quasi assenti” nel realizzare una robusta catena di prevenzione-salute-sicurezza eco-sistemica del lavoro e dei luoghi di lavoro anche più grave se dissociata da una sistematica manutenzione appropriata dell’azienda, oltre i “buchi” di una rete di controlli che va irrobustita investendo sugli ispettorati del lavoro rendendoli indipendenti e dotati di risorse sensate per uomini, mezzi e cultura. Sapendo che dietro ad ogni eventuale “errore umano” qualora si rivelasse tale tra le cause abbiamo comunque sempre scarsa cultura, debole formazione e fragili controlli. Anche qui il regionalismo con lo Stato con il Gruppo ENI hanno “fallito” viste le competenze richieste di non facile reperimento e logiche nazionali con approcci su dati e informazioni di tipo comparativo da trasformare in conoscenza cumulativa e non frammentata in 20 procedure locali-regionali. La “guerra” allora va condotta sui cancelli della stretta connessione tra prevenzione, salute, sicurezza e controlli come un “paracadute” che leghi inestricabilmente persone, contesto organizzativo e ambientale attraverso cultura, formazione e appunto programmazione delle attività di controllo come parte integrante del tessuto di prevenzione connettendo peraltro piani urbanistici sostenibili vista la “pianificata e osmotica prossimità” tra residenza e impianti a rischio. Lo dobbiamo ripetere allora che ridurre i morti sul lavoro significa agire sulla rete-filiera del quadrilatero prevenzione-salute-sicurezza-controllo iniettato di formazione permanente mirata, di manutenzione sistematica pianificata, fino ai controlli e alle verifiche di corretta funzionalità con assessment continui di adattamento. Agendo dunque su una cultura della sicurezza che leghi stato delle persone (formazione e protocolli), dei contesti (monitoraggio di procedure e processi) e dell’ambiente (valutazione di materiali e impiantistiche nelle compatibilità) alzando la consapevolezza dell’integrazione di tutti questi macro-fattori facendoli agire insieme in forme seamless (senza rotture) possibilmente come “servizio nazionale” o per macroregioni, razionalizzando e irrobustendo la dotazione di risorse umane, tecniche, finanziarie e informative (compresi Big Data utili e necessari). Costruendo allora un Istituto di super-competenze (un braccio operativo dell’ISPRA?) che agisca in autonomia come “authority terza e indipendente”. E’ infatti evidente che solo con questo approccio sistemico e autonomo si possono ridurre i rischi personali, impiantistici e ambientali che sono interconnessi e che la tecnologia sensoristica disponibile può aiutare peraltro a ridurre a costi relativamente contenuti a seconda dei contesti applicativi.

Dobbiamo insomma uscire da una tragica sottovalutazione politica, culturale, procedurale e tecnico-scientifica del tema della sicurezza-prevenzione riconsiderando le attribuzioni regionali che hanno mancato di efficacia delegando troppo a pachidermi aziendali come l’ENI le stesse funzioni di controllo e da affrontare con approcci più sistemici e sistematici altrimenti continueremo a piangere vittime inermi senza segnali di volere suturare una piaga italica storica che nel 2024 ha già superato le 358 vittime del 2023. Nel periodo gennaio-luglio 2024, in Italia erano già stati registrati 577 morti sul lavoro con una incidenza nazionale passata da 14,7 morti per milione di occupati nel 2023 a 15,4 nel 2024. Un record tragico che abbiamo il compito (non solo etico-morale) di abbattere ridisegnando un nuovo servizio con forti poteri di indagine e intervento per consegnare al presente e al futuro un mondo del lavoro più sicuro come diritto costituzionale primario fondamentale anche a difesa della memoria delle troppe vittime. Non arrendersi a questa “piaga nazionale” fa avanzare il paese e la sua anima, aumentandone efficienza, competitività e produttività ed è un dovere primario non solo derivante da un diritto costituzionale ma di “etica della responsabilità”. Basta parole vuote nel “dopo” attivando la coscienza delle necessità urgenti facendo sgorgare atti concreti ai diversi livelli di responsabilità dalle istituzioni alle aziende con la magistratura che farà il resto seppure spesso solo ex-post. Serve cioè la consapevolezza (e il coraggio di dire) che spendere in sicurezza e prevenzione non è un costo ma un investimento che è “per la vita contro la morte”, e che la prima è anche sempre più efficiente, creativa e produttiva della seconda.



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