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“Dopo essere evaso da Nuoro ho preso parte a un omicidio in Corsica” #finsubito prestito immediato – richiedi informazioni –


Sta consentendo di smantellare una fitta rete criminale la nuova fase da collaboratore di giustizia di Marco Raduano. L’ex boss della malavita pugliese ha confessato di aver preso parte all’omicidio del ristoratore francese Paul-Felix Paoli, consumatosi il 24 agosto dello scorso anno nel parcheggio del ristorante Le Caravelle, sulla spiaggia di Poggio-Mezzana, località turistica dell’Alta Corsica. La confessione di Raduano ha permesso l’arresto di altre tre persone adesso sotto inchiesta per i reati di “omicidio in banda organizzata e associazione per delinquere a scopo criminale”.

Un’azione delittuosa alla quale l’esponente di spicco della mafia garganica, allora latitante, avrebbe partecipato per restituire un favore al clan della malavita corsa che gli aveva garantito supporto e rifugio nell’isola francese dopo che il 24 febbraio 2023 si era reso protagonista di una rocambolesca evasione dal carcere nuorese di Badu ‘e Carros, dove scontava una condanna a 19 anni di reclusione.

UNA FITTA RETE DI COMPLICI

Raduano, detto “Pallone”, è stato catturato nuovamente il 1° febbraio di quest’anno, proprio in Corsica, ad Aléria. Nelle settimane successive ha deciso di collaborare fornendo agli inquirenti preziose rivelazioni sulle sue più recenti attività criminali e autoaccusandosi di aver partecipato all’omicidio di Paoli.

L’esponente della Sacra Corona Unita avrebbe trascorso gli undici mesi di latitanza tra Sardegna, Corsica e Spagna. Il 4 dicembre scorso, le indagini condotte dal pm della Direzione distrettuale antimafia di Cagliari, Danilo Tronci, in collegamento con la Dda di Bari e coordinata dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, hanno portato all’esecuzione di quattordici misure cautelari tra Sardegna, Corsica e Veneto.

I complici di Raduano sono indagati a vario titolo per favoreggiamento personale e procurata inosservanza di pena, aggravati dall’agevolazione mafiosa in favore del clan foggiano di cui Pallone era boss, nonché per detenzione e traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e porto abusivo di armi, ricettazione e corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio. A eseguire l’indagine gli agenti del Servizio centrale operativo (Sco) della Polizia di Stato, insieme alle Squadre investigative dello Sco di Cagliari e Venezia e alle Squadre mobili di Nuoro e Venezia, in collaborazione con il Nucleo investigativo centrale della Polizia penitenziaria.

Quanto appreso durante le attività tecniche di intercettazione, integrato dalle dichiarazioni acquisite nel corso le indagini, avrebbe portato gli investigatori a delineare il quadro delle responsabilità in merito alla fuga e alla latitanza del boss. In particolare, si è fatto luce sulla disponibilità da parte del criminale di telefoni criptati e denaro contante, sulla rete di supporto alla sua permanenza in territorio nuorese subito dopo l’evasione, sulla sua fuga in Corsica, e sugli appoggi ottenuti a Bastia.

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In totale sono tre le persone arrestate a Venezia e altrettante in Corsica in esecuzione di un mandato di arresto europeo emesso dal tribunale di Cagliari. Otto i sardi in manette. Si tratta dell’agente penitenziario di Siniscola Salvatore Deledda; l’allevatore di Bitti Martino Contu; Massimiliano Demontis, imprenditore di Sant’Antonio di Gallura; Antonio, Elio e Mauro Gusinu, padre, figlio e nipote di Padru; gli allevatori di Orune Antonio Mangia e Pietro Antonio Tolu. Fra gli arresti eseguiti in Corsica anche quello di Marc Furfaro, 56enne di origini calabresi ma nato nell’isola francese, ex candidato indipendentista alle elezioni municipali di Lucciana. Vivaista e imprenditore edile, le frequentazioni di Furfaro in Sardegna per questioni di lavoro e i rapporti con gli arrestati del nord dell’Isola sono stati ricostruiti dagli investigatori. Durante le indagini sono emerse responsabilità a carico degli indagati anche in merito a un traffico di sostanze stupefacenti.

LATITANZA FRA BARBAGIA E CORSICA

L’ex boss Raduano, facente capo al gruppo “Società Foggiana”, ha ricostruito nel dettaglio le varie fasi della sua fuga. Dopo essere fuggito da Badu ‘e Carros, avrebbe trascorso tre giorni nascosto in una cantina di Nuoro. Un fuoriprogramma dovuto al fatto che alcuni imprevisti avevano ritardato l’intervento dei suoi fiancheggiatori.

Successivamente aveva raggiunto Bitti e, dopo pochi giorni, si era trasferito in un’area particolarmente impervia delle campagne di Padru, dove era rimasto accampato in una tenda per quattro mesi. Un riparo di fortuna che sarebbe stato individuato dagli inquirenti, i quali avrebbero trovato importanti riscontri rispetto a quanto raccontato dal criminale pugliese. In quella fase Raduano avrebbe avuto a disposizione un telefono cellulare, ottenuto secondo l’accusa grazie alla complicità dell’agente penitenziario di Siniscola finito in manette e che sarebbe servito anche per organizzare l’evasione.

Poi Pallone avrebbe lasciato la Sardegna alla volta della Corsica e, per un breve periodo, della Spagna.

“UN GRUPPO CRIMINALE AGGUERRITO”

Il procuratore della Dda di Bari Francesco Giannella ha sottolineato nelle settimane scorse “l’importanza della collaborazione tra procure e tra forze dell’ordine di vari territori, compresi i colleghi spagnoli in occasione dell’arresto di Gianluigi Troiano, braccio destro di Raduano”. Granella ha evidenziato anche l’azione di “un gruppo criminale agguerrito che ha fornito supporto economico e logistico al boss della mafia garganica”.



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