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Fondi non profit, c’è uno spartiacque nella vita del Terzo Settore #finsubito prestito immediato


C’è uno spartiacque che segna la vita del Terzo Settore in Italia. È la riforma iniziata nel 2016 con la legge delega del Parlamento e ultimata in estate con l’approvazione europea del nuovo regime fiscale. Un cambiamento epocale, che introduce nuovi obblighi come quello di iscrizione al Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS) e impone il rispetto di una normativa dalle maglie più strette. Il nodo principale è però quello dei fondi. «C’è stato un taglio alle risorse da parte del pubblico», dice Matteo Ripamonti, Direttore della Fondazione IBVA. «È la realtà odierna con cui ci troviamo a fare i conti. E questo nonostante il settore sia in crescita, sia in termini di valore (il risultato è intorno agli 80 miliardi come produzione) sia come numero di dipendenti».

La vostra fondazione opera da oltre 200 anni su Milano. Facevate riferimento alla città stessa per l’erogazione di finanziamenti, fino a qualche tempo fa? 

«Tanto per dare un’idea, il Comune di Milano da dopo la pandemia ha messo a budget soldi provenienti dai fondi per interventi a contrasto dell’emergenza alimentare. Per il 2022, si è trattato di 1 milione di euro. Quegli stanziamenti si sono da quest’anno ridotti a zero, perché il Governo ha scelto di finanziare altre forme di sostegno per le situazioni di disagio socio-economico. Per esempio, la misura della carta prepagata. La coperta è corta: se si tira da una parte, l’altra rimane scoperta».

«Parliamo di un settore molto ampio, che cambia a seconda delle aree di intervento. La mia visione è limitata al nostro osservatorio, quindi è parziale. In linea di massima, quello che si può dire è che il mondo del non profit è stato sempre tradizionalmente agganciato al welfare pubblico. Adesso, invece, la formula degli appalti pubblici, comunali o regionali, per l’erogazione di servizi sociali e sanitari sta progressivamente riducendo i fondi a disposizione delle realtà di Terzo Settore, anche a fronte di un aumento dei bisogni. Questo costringe a cercare linee alternative di finanziamento».

Come gestire la situazione?

«Le risorse messe a disposizione dal pubblico hanno subito una contrazione, come dicevamo. La riforma, in questo senso, è molto chiara: la via indicata è quella imprenditoriale. L’idea alle base è che il non profit debba farsi impresa sociale, trovare linee di finanziamento alternative a quelle pubbliche. Idea non del tutto sbagliata, ma che mostra evidenti limiti.

Quali?

«Per esempio, un target di riferimento scarsamente capace di retribuire le prestazioni che riceve, oltre alla difficoltà, in un regime di libera concorrenza, di delineare linee di intervento comuni. Anche perché il welfare pubblico non è chiamato a rispondere solo ai bisogni di un singolo, ma a quelli di una comunità. Tra le linee di finanziamento su cui possiamo però ancora contare, rimane il 5×1000».

Come funziona in quel caso la distribuzione delle risorse?

«C’è un tetto massimo di fondi che lo Stato può redistribuire. La scelta dei destinatari avviene sulla base delle preferenze indicate dai contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi. Per riceverli va infatti inserito il nominativo della realtà beneficiaria. Per questo si fa una campagna di marketing, che serve a garantirsi quella parte dei fondi».

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Beneficenza e marketing non sono sempre slegati e le vicende di cronaca come il caso Ferragni-Pandoro lo hanno messo in luce

«Quel caso ha dimostrato che è in atto una deriva del sistema, quello che impone di basare i propri canali di sostentamento sul marketing. Riguarda tutto il Terzo Settore. C’entra il fatto di essere visibili e riconoscibili, per cui bisogna affidarsi a personaggi – come possono essere gli influencer – in grado di spostare da soli milioni di altre persone nelle loro preferenze».

Come fa un Comune cittadino a donare in serenità – per così dire – a un ente che vorrebbe aiutare, essendo sicuro che quanto donato arriverà a destinazione?

«Va rispettata la normativa. Questo vale per tutti e la maggioranza degli operatori lo fa. Poi c’è sempre chi si approfitta di uno schema finendo per prendere in giro chi sta dall’altra parte. Alla base deve esserci la volontà di informarsi, di controllare anche la rendicontazione. Adesso con la riforma ci sono degli obblighi da rispettare per tutti gli enti. Funziona molto anche il passaparola, bisogna accreditarsi di fronte al pubblico creandosi una buona reputazione. È per esempio il caso di grandi organizzazioni come Save the Children o Emergency, che hanno credibilità inaffondabili grazie al fatto che non si sono mai verificati scandali».

Per i soggetti più piccoli, come si fa invece a garantirsi credibilità?

«Nel nostro caso, è molto semplice perché i cittadini possono venirci a trovare in sede e vedere con i propri occhi. Si può prendere appuntamento, noi siamo sempre aperti dal lunedì al venerdì. In questo modo, si può avere risposta a tutti i propri dubbi. Va messo in conto poi anche il fatto che noi, come tutti, siamo soggetti ai controlli del Fisco. Ne abbiamo avuti due, relativi agli anni 2009 e 2016. Da entrambi non è emersa nessuna irregolarità».

Quali sono i principali soggetti privati donatori?

«Le donazioni per filantropia arrivano da diversi fronti. Ci sono le fondazioni di origine bancaria come Cariplo. Oppure le fondazioni cosiddette d’impresa, come Deloitte e Mediolanum, solo per citarne alcune, che nascono un po’ per sopperire alle mancanze del welfare ed è per questo che poi il legislatore consente loro di beneficiare di alcuni sconti fiscali. Però non è così per tutti. Nell’area cibo, le donazioni non sono collegate a grandi benefici economici, quindi in quel caso non è quella la motivazione principale».

È stata anche approvata una norma importante, la cosiddetta legge Gadda, per ridurre gli sprechi

«La legge Gadda è stata un grandissimo passo avanti. Ma i benefici fiscali che derivano dall’emergenza alimentare non sono sempre così rilevanti per le aziende. Nella mia esperienza si assiste comunque a una grande opera di filantropia da parte di alcune realtà particolarmente sensibili».

Quando di mezzo ci sono aziende, dunque il profitto, è nelle cose che vi sia un “tornaconto” dietro le donazioni. Nessuno scandalo, dunque. Ma ci sono anche donazioni fatte senza nessun secondo fine?

«Quelle dei privati, talvolta anche anonimi. Che poi anche in quel caso non avrebbe senso non approfittare dei vantaggi fiscali, visto che sono previsti. È una logica win-win. Ma non essendoci di mezzo nessuna ricevuta, non c’è nulla che si possa far risultare. Gli importi sono variabili, dipende molto dalle dimensioni dell’ente. Noi abbiamo un bilancio annuo da circa due milioni e mezzo di euro, e la donazione più grande che abbiamo ricevuto sono stati 30mila euro per un festeggiamento di una nostra volontaria. Ma le donazioni standard vanno dai 50 ai 5mila euro».

A quali attività si dedica la vostra fondazione?

«Abbiamo diverse aree di intervento. Le principali sono la formazione, l’emergenza abitativa, la dispersione scolastica e la lotta alla povertà alimentare. Quest’ultima è quella che economicamente ha il peso più rilevante».

In cosa consiste questa parte del vostro operato?

«Prendiamo in carico alcune famiglie in difficoltà. Che sono sempre di più, specie quelle dove magari lavora un solo membro della famiglia, ci sono figli a carico e non si riesce a fronteggiare il carovita di Milano. Abbiamo due social market, in via Santa Croce 15 e in via Appennini 50. Sono supermercati a tutti gli effetti, con casse, scaffali e carrelli. Qui le famiglie che hanno bisogno possono fare la spesa gratuitamente».

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Come si accede a questo percorso?

«Il requisito principale è l’ISEE, che deve essere sotto i 7mila euro. Al sostegno alimentare si accede perché indirizzati da un ente cosiddetto inviante, che redige un progetto di autonomia per il nucleo familiare che può durare anche diversi anni e che prevede il sostegno alimentare come misura temporanea complementare e non prevalente. Spesso l’ente inviante sono i servizi sociali comunali, ma siamo in rete anche con oltre 60 realtà cittadine del Terzo Settore. Nel 2023 abbiamo seguito circa 1.100 nuclei familiari, cioè circa 4mila persone in stato di povertà assoluta».

Esiste una vera e propria tessera per gli acquisti?

«Sì, vengono accreditati punti che variano in base al numero dei componenti del nucleo. Il valore minimo è di 30 punti a persona, che corrisponde a un potenziale di acquisto di circa 180 euro. Se poi ci sono bambini da zero a tre anni si aggiungono 30 punti infanzia, più altri cinque per ogni figlio in più. La durata è di sei mesi, al termine dei quali si procede a una verifica sul reale bisogno della famiglia per decidere se rinnovare o meno».

Come riuscite a rifornire i supermercati di tutto il necessario?

«Come moltissime altre iniziative che si occupano di emergenza alimentare, SOLIDANDO – questo il nome del progetto – riceve tramite Bando Alimentari aiuti europei e nazionali. A questi si aggiungono le donazioni che riceviamo dalle aziende produttrici. Poi provvediamo a acquistare direttamente ciò che riteniamo necessario per gli scaffali del nostro market».

Avete anche un’attività parallela, quella di Solidando Hub

«Esiste da settembre 2021. Si tratta di uno hub di quartiere contro lo spreco alimentare inserito all’intero del programma della Food Policy di Milano. Raccoglie eccedenze alimentari provenienti dalla GDO, dunque soprattutto freschi. In questo caso i prodotti non sono indirizzati alle singole famiglie, ma a enti che ne fanno richiesta. Sono ad esempio case famiglia, centri di accoglienza, residenze. È un sistema di recupero che sta facendo scuola, tanto che nel 2021 è stato premiato con l’Earthshot Prize, riconoscimento istituito dal Principe William del Galles per i progetti più innovativi in fatto di sostenibilità ambientale».

Il quadro si completa con un forno, anche questo sociale

«Si chiama Panificando ed è un forno gestito da un gruppo di volontari panificatori che produce pane quasi quotidianamente. Da alcuni mesi panificando è affiancato da Panificando Kitchen, un laboratorio di trasformazione alimentare che trasforma le eccedenze in prodotti di gastronomia monoporzione che, insieme al pan grattato e al pane appena sfornato entrano a far parte dell’offerta di prodotti di SOLIDANDO».

A questa si accompagnano le attività contro la dispersione scolastica, la formazione linguistica e l’emergenza abitativa

«Ci sono contesti in cui spesso si accavallano le varie criticità. I numeri sono diversi a seconda dei progetti. Nel caso della dispersione scolastica, per esempio, abbiamo in carico circa 70 nuclei familiari. Nei corsi di italiano accogliamo circa 300 studenti adulti ogni anno, mentre abbiamo undici appartamenti di residenzialità temporanea per nuclei in emergenza. In molti casi fa perno sulla possibilità di inserire lavorativamente le persone che seguiamo in modo da renderle sempre più autonome. Chi arriva da noi a seguito di un percorso migratorio, per esempio un richiedente asilo, deve scontare una burocrazia molto rigida e spesso molto lenta. Ed è qui che spesso incontriamo le maggiori difficoltà perché chi è preso in carico entra in una sorta di circolo vizioso».

Potrebbe spiegarci in che senso?

«Mi riferisco al capitolo immigratorio. Il Comune di Milano ha fatto enormi passi avanti, ma una persona migrante impiega ancora mesi per avere un permesso di soggiorno da cui deriva la possibilità di avere una residenza, una carta di identità, un conto corrente e un impiego regolare e retribuito».

La Fondazione può contare su un bilancio in salute?

«Abbiamo visto crescere il nostro margine operativo con un aumento del 25,9% dal 2020 a oggi. Il 2023 si è chiuso con un +19,3% di entrate rispetto al 2022, con un incremento determinato per circa due terzi dalla migliore gestione del patrimonio, soprattutto abitativo, e per un terzo dalla raccolta fondi. Per il 35% grazie alla Fondazione Gaetano De Magistris, che per statuto dona il proprio avanzo di gestione a favore di IBVA. Abbiamo anche costituito un accantonamento a garanzia delle attività future pari a 151.900 euro».             ©

📸 Credits: Canva   

Articolo tratto dal numero del 15 dicembre 2024 de il Bollettino. Abbonati!                





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