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Epidemia di solitudine figlia dei social? Lo studio controcorrente #finsubito prestito immediato


Diciamolo. Quando pensiamo alla solitudine crescente di tante persone, il pensiero può andare anche al ruolo invisibile ma psicologicamente impattante dei social media nel favorire l’isolamento, mantenendo come finestra verso il mondo solo lo spazio virtuale. D’altro canto, ci sono analisi che mostrano chiaramente come esistano chiare evidenze di un rapporto tra dipendenza dai social, o comunque costante attenzione alle reti virtuali di amicizia, e sviluppo di depressione ed altri problemi di salute mentale.

Ma davvero la solitudine è figlia (solo) dei social network? E soprattutto, non può essere che invece questi strumenti di connessione virtuale potrebbero diventare veicoli di autostima per il singolo e di apertura verso il mondo esterno, seppur non fisicamente?

Ad andare contro quella che pare essere una sorta di morale comune nei confronti dei social network è un originale contributo di Brandon Bouchillon, docente di giornalismo presso l’Università dell’Arkansas. Stando a quanto propone l’esperto in un lavoro pubblicato su Telematics and Informatics potrebbe esserci una diversa chiave di lettura del ruolo dei social.

O meglio: si potrebbe ipotizzare che, a prescindere da tempo, è la modalità d’impiego delle reti sociali virtuali a fare la differenza nella connessione che si crea nelle persone, nella possibilità di avere compagnia e soprattutto nel contrastare l’avanzare della solitudine, spesso amplificata da un calo dell’autostima che apre la strada a tendenze depressive.

Nella sua indagine, realizzata attraverso un sondaggio sul web cu 1500 persone e successivo controllo a distanza, lo studioso ha testato l’influenza della qualità dell’amicizia in rete sull’autostima di tratto (in pratica, una sorta di piacevolezza per se stessi che va oltre il singolo like, ma si mantiene nel tempo) e sulla solitudine. Nella ricerca agli intervistati sono state proposte affermazioni come “Sono una persona di valore” e “Penso di avere una serie di buone qualità”, quindi è stato chiesto di rispondere su una scala a cinque punti che andava da “fortemente in disaccordo” a “fortemente d’accordo”. Il tutto, ovviamente, integrato da domande sulla qualità delle amicizie in rete. 

Il primo dato che emerge è relativo all’età. E questo variabile andrebbe sempre considerata con attenzione nelle analisi sui comportamenti nei gruppi virtuali. Infatti, sia pure se in termini generali, i più giovani, dai 18 ai 29 e dai 30 ai 39, hanno segnalato una qualità dell’amicizia in rete molto più elevata rispetto alle persone di 50 anni e oltre.

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Occhio però: nonostante questi giovani dai 18 ai 39 sono apparsi maggiormente portati verso una minore autostima e tassi più elevati di solitudine. D’altro canto, a fare la differenza sarebbe l’atteggiamento con cui ci si pone (e ci si apre) nel mondo virtuale.

Chi si è sentito davvero vicino agli altri utenti nella “bolla” delle amicizie ha segnalato una maggiore autostima anche sei settimane dopo. Questa associazione è risultata significativa per gli utenti fino all’età di 61 anni. I guadagni di autostima si sono riversati anche sulla riduzione della solitudine per le generazioni più giovani, con l’effetto indiretto che alla fine è diventato non significativo per gli utenti tra i 60 e i 70 anni.

Sopra questa fascia d’età, la tendenza è a non provare particolare autostima, probabilmente anche per l’abitudine più spiccata verso i rapporti umani diretti. Stare sui social, per gli anziani, diventa più un aiuto per continuare ad informarsi su persone che non si riescono a raggiungere piuttosto che un vero oggetto di legame. 

Insomma, non tutti i social vengono per nuocere, almeno sul fronte psicologico e dell’autostima. Ma dobbiamo imparare ad impiegarli “cum granu salis”. Perché davvero potrebbero aiutarci. A sentirci più forti e ad aumentare l’autostima. E magari, a limitare l’isolamento sociale. A tutte le età. Dipende da noi!



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